cuore

Il cuore di un sacerdote: non c’è abisso, tra quelli finora esplorati, la cui profondità superi in vertigine un cuore consacrato a Dio. A scrutarlo con la medicina, nessuna traccia lo differenzia dagli altri. A guardarlo con gli occhi della fede procura spavento: un mistero inenarrabile attraversa le sue fibre, rintocchi che fanno tremare le ossa. Quel cuore, affittato da Dio, sovente è spazio d’incontro – rotatoria, incrocio, piazzola d’emergenza – tra Dio e l’uomo. Ne sceglie alcuni per farne poi l’uso che vuole, senza donare fibre muscolari di particolare fattezza. Sono cuori: miscuglio di carne e spirito, mescolanza di dogma e affetti, grammatica di ferite, di cuciture. Certe sere – le più frequenti, quelle quotidiane -, quei cuori affittano a più-non-posso: stringono i loro pensieri per allargarsi ai pensieri altrui, ospitando assieme alle loro le miserie dei popoli loro affidati. Che, badate, è l’opposto del farsi gli affari-degli-altri: negli affari scorre l’economia, nei pensieri la vita. Che nessun conteggio può far tornare.
Sono cuori d’uomini, passibili di fatica e sofferenza, angoscia e stupore, d’ansia e di trepidazione. Nessuna scontistica per il fatto d’essersi dati agli altri. Chiusa la porta di casa propria – chi scrive ne è attore e protagonista – il prete prende il suo cuore e gli mette il bavero, lo mette spalle al muro: “Dimmi, cuore, di cosa è mancanza questa mancanza che rimbomba?” E siccome son cuori indaffarati, certi si sono abituati a liquidare la faccenda: “Non ti manca nulla. Sono malanni di stagione, stai sereno”. È la notte dolce di Lucifero: s’intrufola, t’abbindola, appisola coi pensieri più deleteri. Altri sono cuori-preoccupati, non mentono-più, pur non sapendo quale risposta dare: “Mi manca qualcosa, ma non riesco a dirti come si chiama”. Sono le sere più belle, quelle delle lacrime, della nebbia-in-val-padana. Notti in cui la voglia di contare le pecore si vince iniziando a parlare col Pastore. Notti di verità: “Ti-manco-io: così si chiama la tua mancanza”. Quella che, uditala, fece drizzare il petto al giovane ricco, costringendolo alla resa. Di quel tale, marionetta nelle aule delle catechesi, ho sempre ammirato quella sua capacità di chiedersi come si chiamasse quella malinconia «Cos’altro mi manca?» Saputo il nome, scelse che fare.
La notizia ha il sapore delle lacrime: due preti della chiesa di Padova, in questi mesi, sono morti d’infarto. Il settimanale diocesano ha firmato un pezzo il cui tema è “Cuore e clero”. Un invito ai preti: abbiate cura di voi stessi, non siete superuomini. Un invito per chi, incrociando gli occhi di un prete, riesce ancora a commuoversi: pregate per lui, basta così. Un cuore grande si riempie con molto poco. Il contrario: più un cuore è vuoto, più pesa. Entrambi sono affari-di-cuore.

(da Il Mattino di Padova, 3 settembre 2017)

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