stupido1Chi lavora col fango prima o poi mette in conto di sporcarsi. Come la buona donna che s’appresta a fare lo zabaione (che a detta di tutti è squisito, ndr) mette pure in conto che nel mescolare zucchero e uova il suo grembiule possa macchiarsi di qualche goccia. Pure chi lavora dietro le sbarre sa che alla fine ciò che conta non è vincere o perdere la sfida della rieducazione ma la bellezza d’averci provato fino in fondo, magari contro tutti e contro tutto. Eppure c’è una domanda che interpella e scuote gli animi di chi in carcere s’appresta a s’adopra nella lenta ricostruzione dell’uomo: ha davvero senso rieducare una persona quando poi l’ambiente che l’accoglie dell’educazione non conosce più l’alfabeto? I fucili e le fucilazioni invocate da Umberto Bossi (prima per i profughi a Lampedusa ora per gli ex detenuti), i vecchi slogan che non sono riusciti a scrivere la storia come promettevano, i luoghi comuni della “chiave gettata nell’oceano” dimostrano oggi che la vera rieducazione da compiere è quella all’esterno delle sbarre, laddove la libertà di pensiero è inversamente proporzionale alla libertà fisica. Per condividere la fatica del fraticello di Assisi il quale avrà fatto meno fatica ad addomesticare il lupo che convincere i cittadini di Gubbio che il lupo non avrebbe più fatto paura.
Macchiarsi di un delitto significa ancora oggi morire socialmente ma non per questo gente di buona volontà accetta di scendere a patti con l’ignoranza. In questi giorni ne sta facendo le spese un’associazione padovana, una donna e una cavalleria di volontari che da anni stanno sulla breccia a ricostruire speranza e ridare dignità ai feriti della storia. E’ in buona compagnia: prima di lei altri sono stati attaccati, denigrati e tacciati d’essere i difensori di Caino. Niente di tutto ciò ma solo il semplice desiderio di poter dare ad ogni uomo – al di là del suo nome, dei suoi crimini commessi e della sua tribolata storia – una possibilità di riscatto sociale. Difendere a spada tratta i crocifissi nelle aule scolastiche non basta: forse occorre anche ricordare che il sogno di Dio non è la morte del peccatore ma che si converta e viva: ieri, oggi e sempre. Ed è ancora più bello che gli attacchi siano giunti nel giorno della Festa della Donna: nel loro grembo Dio ha posto la custodia della vita fino al giorno del suo ritorno. Fino a ricordarci ogni giorno che essere donna – come ricordava Oriana Fallaci – è una sfida che non annoia mai. Al loro mantello di delicatezza e di fiducia s’aggrappano ogni mattina dentro la galera tutti coloro che si sono decisi a non scegliere la sicurezza della disperazione o del suicidio ma di firmare il rischio di una risalita della scarpata.
Denigrare l’operare di una donna è denigrare la speranza di una comunità. A chi è ricostruttore di futuro non servirà conoscere la storia passata di una donna coraggiosa ma basterà sapere che per nessuna ragione al mondo – tanto meno per nessuna meschina ragione politica – molleremo il sogno di costruire una civiltà migliore. Sapendo che superare la paura e affrontare il diverso è l’unico sentiero che porta all’umanizzazione di un territorio. Le favole non insegnano ai bambini che esistono gli orchi ma assicurano ai bambini che gli orchi possono essere sconfitti. Anche l’ignoranza e gli “slogan” sono orchi: esistono, ma possono essere sconfitti con l’unica arma che il Bene ha a disposizione: il silenzio operoso di chi, pur magari non condividendo lo stesso dono della fede, s’affatica nel riaccendere la luce in fondo ad un tunnel.

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