casadisabitataUn uomo e uno stato sotto ricatto, con la ghigliottina pronta a diventare il giudice ultimo di un’avventura umana che non lascerà né vincitori né vinti ma solo la tristezza di una matassa sempre più faticosa da sbrogliare. Un clima di stanchezza avvolge il pensiero odierno, come se fosse in atto un tentativo di anestetizzazione di massa dei cervelli per poi poter liberare appieno la fantasia dei satrapi e della loro servitù. Eppure è dentro la storia che il cristiano è chiamato a leggere la presenza di Dio, il germogliare di quel Regno che nasce dall’eterna lotta tra il mistero della salvezza e quello dell’iniquità, tra la luce e le tenebre. Tra la storia scritta dall’uomo e quella immaginata da Dio.
In questi giorni – forse in questi ultimi mesi – il cristianesimo sembra mostrare le sembianze di una casa disabitata. I credenti l’abbandonano scappando dalle finestre, i riutilizzatori entrano da tutte le porte per saccheggiare i monili che ne hanno scritto la storia. Per poi riutilizzarli a loro favore. E stupisce, ascoltando il vociare e il riflettere della gente comune, che sempre più cristiani diventino meno praticanti e più credenti. Potremmo quasi dire che riscoprono la loro arte combattiva nel momento in cui cessano di abitare dentro i luoghi dichiaratamente sacri. Paradossale come situazione. All’uomo dell’osteria tale annotazione non procura insonnia di certo, ma a coloro che tengono a cuore il futuro del fatto cristiano questa è molto più che una preoccupazione. Le vicende politiche di questi giorni ci stanno mostrando come la Chiesa faccia fatica a prendere nettamente posizione, lasciando in uno stato confusionale le anime deboli che si vedono spaesate dentro questo incedere titubante e a volte contradditorio. E’ come se stesse perdendo la sua capacità di tenere unita la sua fede con i gesti oggettivi che ne testimonino la credibilità. Una politica che promette fondi alle scuole private, che difende il crocifisso nelle aule scolastiche e dibatte sulla legge del fine vita è di per sé una politica che tiene a cuore gli ideali dei quali il cristianesimo da millenni è la culla. Ma ci si chiede fino a che punto la difesa e la promozione di tali ideali possa essere pagata con il mandare alla berlina (usiamo un termine educato, ndr) valori altrettanto nobili e spirituali che del fatto cristiano costituiscono l’alfabeto e la grammatica.
Oggi al cristianesimo viene lanciata, sotto forma di domanda, la sfida delle sfide: t’interessa di più il mantenimento della decorazione e della burocrazia o t’affascina maggiormente scoprire i percorsi segreti che Dio sta inanellando nella storia? Per i primi siamo ad un ottimo punto: i Musei Vaticani e le grandi gallerie d’arte ringraziano la cultura cristiana per l’affluenza che arreca loro. Per i secondi il crinale sul quale agganciare la sfida è suadente nella sua delicatezza: si tratta di mostrare come l’esperienza di fede esista solo se è capace di modificare la realtà nella quale vive. O almeno tentare, magari anche sotto la forma della critica e della denuncia. Forse sarà ora di mandare in soffitta la vetusta convinzione che chi critica lo faccia per il puro gusto di filosofeggiare e apparire di moda. Una lunghissima storia di abbandoni e di ferite nell’anima ci sta facendo intuire che tante volte la critica altro non è che la traccia di un desiderio di meglio che abita dentro il cuore di chi parla.
E siamo convinti che tante teste giovani e pensanti – che in questi giorni stanno sbigottite e attonite per ambo i comportamenti – si stanno organizzando per rialzare il capo. Non fanno rumore e non balzano alla cronaca, ma annunciano l’avvento di una nuova forma di fare politica e di dire Dio.
Due cani e un ladro. Il primo abbaia, l’altro tace: chi è fedele al padrone?

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