burlesca-2

Dallo sguardo ammaliante. Perchè il cristianesimo è prima di tutto un incontro, l’incontro con il Risorto il mattino di Pasqua. Tutto il Vangelo ci prende per mano e ci porta verso la gioia della Risurrezione ma non la descrive. E’ come sentire cadere una scarpa nella stanza di sopra e si aspetta che cada anche l’altra, che non cade mai. Il Vangelo di Marco termina con il silenzio delle donne: “quelle, però, uscite dal sepolcro fuggirono, prese da timore e da stupore” (Mt 16,5-8). Far cadere l’altra scarpa è la missione lasciata sulla soglia della casa di ogni cristiano: perchè certi incontri cambiano la vita: nulla più rimane come prima. Lo avvertirono quel manipolo di persone accampate attorno alla figura statuaria del Battista: una voce che spingeva e dissuadeva, accendeva e ammaliava, stregava e conquistava. Glielo chiesero a più riprese: “che cosa dobbiamo fare?” (liturgia della III^ domenica d’Avvento). Prima la folla, poi addirittura i pubblicani, persino un gruppo di soldati: tutti contorti nel cercare una risposta alla medesima domanda. Perchè – seppur nascesse dopo, all’ombra di un sepolcro vuoto – già in quei primi timidi passi dell’amico di Gesù, s’avvertiva forte la convinzione che la Chiesa non avrebbe avuto nulla da dire sul modo di comportarsi fino a quando coloro che ascoltavano non avessero goduto di un barlume del piacere di Dio nella loro esistenza: ieri, sempre, sopratutto oggi. E loro cercavano la felicità, quella musica del cuore della quale la voce di Giovanni sembrava conoscere lo spartito. E Giovanni, infatti. spiegò loro il da farsi: mettere a disposizione una tunica e un pezzo di pane, non fare gli strozzini o gli avvoltoi, evitare di maltrattare e di estorcere alla gente più del dovuto. Quel giorno lo fissarono attoniti: sembrava poco quello che il Predicatore avanzava come ingrediente per la felicità. Forse immaginavano chissà quali acrobazie del cuore, temevano inimmaginabili colpi di scena, sospettavano gesti eroici. Nulla di tutto ciò, ma semplicemente il poco di tutti i giorni fatto con gioia.

Insegnami a cercarti e mostrati a chi ti cerca, perchè non posso né cercarti, se tu non me lo insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti. Che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti. Riconosco, Signore, e te ne ringrazio, che hai creato in me questa tua immagine perchè, memore di te, io ti pensi e ti ami. Ma essa è talmente consumata dal logorìo dei vizi, è così offuscata dal fumo dei peccati da non poter fare ciò per cui è creata, se tu non la rinnovi e la riformi. Non tento, Signore, di penetrare la tua altezza, perchè in nessun modo paragono ad essa il mio intelletto, ma desidero comprendere in qualache modo la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Infatti non cerco di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Giacchè credo anche questo: che “se non crederò, non comprenderò” (Is 7,9). (Anselmo di Canterbury, Proslogion I, Rusconi, Milano, 1996)

Perchè il cristianesimo sopra tutto è la Gioia che si è fatta carne: fiorì a quell’incrocio – dove la voce del Battista si fa voce dell’Amico di Nazareth – il felice sospetto che il contrario di un popolo cristiano non sarebbe mai stato un popolo ateo, ma un popolo triste: ovvero senza la gioia del cuore. Quell’alfabeto che permette di avvertire il cuore battere ad ogni fremito di umanità nel Vangelo: la carne bambina e la carne piagata, l’amore per i bambini e il brivido del profumo della peccatrice amica, la luce del Tabor e l’amare povertà di chi trovò in calce ad una vita consumata nell’amore quel poco di legno e di ferro che basta per morire inchiodato. E accendere nel mondo la speranza dell’Eterno: “che cosa dobbiamo fare?” Poche cose, quasi nulla di più di quello che già si fa: semplicemente col di più della gioia. Qualche rotolo di papiro più avanti, sul limitare della storia il Nazareno riprenderà il poco chiesto da Giovanni per spiegare il tutto dell’Eternità: “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero prigioniero e mi avete fatto visita” (Mt 25). Verbi che enunciano le semplici cose di tutti i giorni: mangiare e bere, vestirsi e soffrire. E’ la valorizzazione del quotidiano, del quasi banale, delle cose consuete; è l’assenza delle credenze, dei riti e delle osservanze.
Lo confusero col Messia tanto atteso, tale era la forza delle sua presenza. Lui non si montò la testa, semplicemente rimase coi piedi per terra, senza il minimo accenno di malinconia: “viene uno più forte di me”. Un giorno, acclamato dalla folla, punterà il dito: “Ecco l’Agnello di Dio. Seguite Lui”. Terminerà la sua corsa come l’aveva iniziata: nell’amare le cose consuete vivendo da protagonista gli attimi che gli furono concessi. Il ballo sensuale di un’adolescente gli costerà la testa: eppure la sua voce non mutò mai d’aspetto perchè era voce della Gioia in arrivo. Una freschezza, quella cristiana, che nei secoli hanno rivestito con il manto di una leggenda vuota e noiosa. Incredibile come siano riusciti a fare ciò!

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