Prendete un pezzo di legno e mettetelo nell’acqua di un torrente: difficilmente quando lo riprenderete in mano ci troverete un coccodrillo. Perché non basta che un legno tocchi l’acqua per farlo diventare un coccodrillo. Come, del resto, non basta una rondine a fare primavera. Che una gerontocrazia (governo dei vecchi, ndr) spenda parole dorate per il mondo dei giovani – com’è accaduto nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica – è occasione di simpatica e provata riconoscenza. Impreziosita da una constatazione: non è mai troppo tardi. Perché se al mondo dei giovani vengono addebitate dalla massima autorità dello Stato parole come motivazione, orgoglio, passione e impegno questo non può che far piacere, se non altro come tentativo di sdebitarsi di un bistrattamento protrattosi ad oltranza. Fino ad accorgersi che essi sono rimasti l’ultima scialuppa di salvataggio per evitare il naufragio di una nazione.
Ammesso che tali parole siano state dettate da vera convinzione – e non da un tentativo di addossare al popolo giovane il bandolo di una matassa aggrovigliato dai dinosauri – ci saremmo aspettati, per una più credibile conoscenza di tale giovinezze, che oltre all’elogio sperticato e a volte mieloso ci fosse stato anche il richiamo ai doveri che tale età comporta. Essere giovani è essere capaci di conoscere la differenza tra l’adulazione e la valorizzazione. Chi adula mette in luce ciò che spetta, chi valorizza sa coniugare la giusta dose di diritti e di doveri. Per non cadere nella trappola di essere smascherato nel tentativo di tenere tranquillo il mondo della giovinezza offrendo loro la solita caramella. Che a null’altro serve se non ad accrescere i bruciori di stomaco.
Qualunque giovane sogna un lavoro all’altezza dei sogni, ma è altrettanto vero che non basta un foglio in mano per ritenere dovuto un lavoro. L’applicazione scolastica educa l’alunno non solo alla comprensione del sapere e alla dialettica delle nozioni, ma si sforza anche d’affinare le predisposizioni del giovane all’elasticità mentale che gli permetterà, al presentarsi di un’opportunità, di saperla cogliere al volo magari correggendo la direzione delle aspettative. Parlare di “diritto al lavoro” non è parlare di “diritto al lavoro da sogno”, ma parlare di una possibilità di saper vivere la propria vita da protagonista mettendo a frutto le nozioni acquisite. E’ questo lo spirito che dovrebbe animare i giovani nell’epoca dell’addestramento che è la scuola: prepararsi al meglio per farsi trovare pronti al momento opportuno. Significa imparare a far brillare i propri talenti, ma anche a saperli affinare. La storia dell’uomo racconta di grandi geni che, nati con un sogno, hanno poi saputo seguire con il loro fiuto il fluttuare delle condizioni sapendosi adattare e facendo brillare il loro genio in maniera forse ancor più superiore. I giovani hanno diritti per lo meno nella stessa misura in cui hanno dei doveri. Parlare solo di diritti è cosa assai rischiosa perchè nel momento in cui, foglio di laurea alla mano, non troveranno il lavoro corrispondente non ci penseranno due volte ad impugnare un manganello e gettarsi contro le forze dell’ordine. Chi lavora con i giovani sa che essi non chiedono d’abbassare le vette o mistificare la realtà addolcendola. Chiedono, piuttosto, provocazioni e occasioni che permettano loro di percorrere quelle strade nelle quali abitano i loro desideri.
Chi scrive è convinto delle buone intenzioni del Presidente e ne apprezza il coraggio d’aver rotto il ghiaccio dentro il regno dei dinosauri. Spera che altri ne seguano l’esempio (magari anche nella Santa Madre Chiesa) e invoca su entrambi la benedizione perchè si tenti l’innamoramento dei giovani rischiando assieme con loro il futuro e non abbindolandoli con parole alle quali il loro spirito, complice un’allergia secolare, oppone un’indifferente attenzione. Che fa nascere spontanea una domanda: “dov’è l’inganno in così inaspettata disquisizione?”