Per l’ultimo dei miracoli raccontati dall’evangelista Marco, verrebbe proprio da dire: “E meno male che quello che non ci vede è Bartimeo!” Dal canto suo, l’evangelista potrebbe controbatterci che “non basta avere degli occhi per poter dire che uno ci veda”. La storia di Cristo è piena zeppa di gente che gli fa ressa tutt’attorno, con gli occhi che apparentemente funzionano: non riescono, però, a scoprire il volto, a penetrare il mistero profondo di quest’Uomo che cammina loro accanto. Nella gara a chi ci vede meglio di tutti, i Dodici apostoli – quelli partiti avvantaggiati! – saranno sempre gli ultimi ad arrivare al traguardo. Sul Calvario, a bruciarli in corsia di sorpasso sarà un centurione foresto; dopo la disavventura della Croce, sul primo gradino del podio di chi riuscirà a vedere la vita dentro la morte saliranno per prime le donne, non loro come ci si aspetterebbe. Stavolta, per l’ultimo dei miracoli, a mettere in croce la loro vista è un cieco: se questo non fosse Vangelo, verrebbe da cappottarsi dalle risate al solo pensiero che un cieco riesca a vederci meglio di chi pensa di avere la vista di un falco. Forse difettava negli occhi quest’uomo seduto ai bordi della strada ma chi ha detto che si riesca a riconoscere il passaggio di qualcuno soltanto con la vista? Certe volte è l’udito a rendere urgente il cuore, a segnalare l’arrivo di qualcuno: «Sentendo ch’era Gesù Nazareno, (Bartimeo, figlio di Timeo, cieco) cominciò a gridare». Quand’è sotto sforzo, griderà solo chi ha tanta voglia di rinascere: «Avete taciuto abbastanza – scrive Caterina da Siena –: è ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue: io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito». Bartimeo grida a squarciagola: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me». Non ce la fa più a tenersi tutto dentro tutto ciò che, gridato controvento, gl iè rimasto ficcato in gola.

Lui grida, la folla ch’è attorno al Cristo guaritore lo (s)grida. Eccome lo sgrida: «Molti lo rimproveravano perchè tacesse». Chi ti è vicino, nel momento del bisogno, più che aiutarti vorrebbe zittirti: Bartimeo, invece, stavolta non ne può proprio più di tacere e di pazientare: «gridava ancora più forte». Fino al punto massimo di ironia: Cristo (s)grida gli amici costringendoli ad andare loro stessi a chiamare l’uomo che sta gridando. Eccoli, mogi-mogi, coloro che si pensavano con occhi di falco: «Coraggio, alzati, ti chiama». A dare speranza, a rimettere in piedi, a fare sì che quell’uomo cieco ripartisse sono esattamente coloro che gli volevano mettere il silenziatore poco fa. In questo cantiere della vista, Cristo appende fuori il cartello: “Aperto per lavori”, non l’opposto. Che gli amici vedano come si fa a guarire: “Se una persona non l’hai mai vista quando ha fame, quando litiga, quando ha paura o quando sta male, è difficile che tu l’abbia mai vista” sembra dire loro. E lo dice a modo suo: fermandosi, facendolo avvicinare, chiedendogli cosa voglia con quel suo grido. La domanda sembra farci sorridere: «Cosa vuoi che ti faccia?» Cosa vorrà mai un cieco, miseria, verrebbe da rispondere a Cristo. Che, leggermente scocciato, potrebbe rispondere: “Prima di guarire qualcuno, chiedete sempre se è disposto ad abbandonare il male che l’ha fatto stare male altrimenti, poi, ritornerà a stare male”. A domanda, risposta: «Rabbunì, che io veda di nuovo». Chissà da quanti anni Bartimeo guardava avanti (nella vita) e avvertiva paura, quando guardava indietro sentiva il cuore e la memoria soffrire: quando Cristo gli passa accanto, prende la palla al balzo e riconosce la sua via d’uscita. Pur essendo un cieco agli occhi di tutti.

Quant’è ironico il Vangelo quando vuol fare trovare il primo posto all’ultimo in ordine d’arrivo: «Allora Gesù gli disse: ”Và, la tua fede ti ha salvato”. E subito (Bartimeo) vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada». Solita storia che, magari, non si vuol sentire: ci guadagneremmo di più a lasciarci vedere per come siamo piuttosto che sforzarci di apparire quello che non siamo. Così facendo, basterà che qualcuno ci guardi, che intercetti il nostro grido, che si fermi apposta per noi – «Gesù si fermò» – e la vita di prima rischia di cambiare rotta. Tutto semplice, o quasi: con Cristo, per riottenere la vista, occorrerà sempre la consapevolezza di essere ciechi. Poi ci saranno sempre dei fiori per coloro che vorranno vederli.

(da Il Sussidiario, 26 ottobre 2024)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (Vangelo di Marco 10,46-52).

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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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