La notizia è tutta all’italiana: se su cento persone dieci hanno tra le mani una possibilità da giocarsi per vivere meglio, la sfida sarà quella di fare in modo che quelle dieci persone tornino a vivere come le altre novanta. Che, cioè, regrediscano. La logica – dimensione aborrita dietro il ferro e il cemento delle patrie galere – vorrebbe che quelle dieci diventassero cento; l’illogico, invece, fa di tutto perchè le altre novanta rimangano la normalità. Non è forse la Costituzione Italiana stessa – quella che Roberto Benignì osò tratteggiare, a ragione, come la più bella del mondo (ma anche la più disattesa) – ad abbozzare parole di commozione quando parla della dimensione del carcere? L’appuntamento è all’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti costrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». La rieducazione, per l’appunto. Il che comporta pensare al carcere come ad un laboratorio in cui si rimette mano a delle strade slabbrate per farle tornare adatte alla libera circolazione: rafforzate, più sicure, meno pericolose al transito. Strade slabbrate che qui dentro sono uomini slabbrati, vite deragliate, storie da rammendare per ridarle diverse da quelle che erano.
Il carcere di Padova in questi mesi sta assistendo a questa guerriglia dai contorni foschi: il tentativo dell’illogico di banalizzare il logico e l’umano, fino a rendere ridicola quell’umanesimo cristiano e laico che da decenni tenta di strappare anime alla disperazione in questa “terra di nessuno” che è il carcere. Che, per chi lo vive, segnerà indelebilmente la biografia personale e familiare,a che comunitaria. Nel nostro carcere, che per noi è una parrocchia, in queste settimane stiamo assistendo ad un dramma: quello della deportazione forzata di tutti gli uomini che appartengono al regime dell’altissima sicurezza. Quelli che il gergo comune taccia superficialmente d’essere “mafiosi ricchi e sfondati”. Per noi, invece, sono uomini che la giustizia ha condannato all’espiazione di pene lunghissime, fino all’ergastolo. E tali rimarranno, dal momento che in queste lande sperdute l’uomo non è mai il suo errore. Sono uomini difficili perchèè il loro passato ad essere difficile: il loro futuro, poi, è rischioso da immaginare senza passare per ingenui. E’ il loro presente, però, ad essere a disposizione: è nell’oggi del carcere che si rielabora il passato per scarabocchiare un futuro diverso. Qualcuno di loro non è più l’uomo di “quella volta”: il tempo ne ha segnato i lineamenti, ha scavato il volto, ha messo a dura prova la speranza. Qualcuno in carcere è cambiato: attraverso il lavoro, la cultura, la passione e la vera compassione. Qualcuno di loro s’è visto trasformare dall’incontro con il Cristo dei Vangeli. Costoro, rivoltati come dei calzini, oggi sono testimoni di un annuncio ostico: quella cristiana non è “grazia” a basso prezzo, tutt’altro. Uomini e famiglie che hanno ritrovato il gusto del lavoro, la passione per la vita, la dignità del lavoro compiuto per amore e con amore. Spostarli di carcere senza una logica è compromettere la speranza, è riazzerare il guadagno, è giocare con il fuoco consapevoli del rischio. E’ una cambiale di follia in bianco.
Quell’imbacarli verso altre mète rimane, però, anche una consolazione: che il bene, fatto bene, arreca nausea. Che il buono, quando s’accende, smaschera la menzogna. Che il vero, quando s’annuncia, ha un sapore tutto suo: non c’è spettacolo più grandioso di vedere un uomo rialzarsi con uno sguardo nuovo. Più profondo, più sofferto, più vero. Giocare con la storia degli uomini è un gioco che oggi nessuno può permettersi di firmare: giocare con loro è giocare con il presente e il futuro della nostra città. A tutti piace un mondo diverso, una città colorata, un presente sicuro: per avere tutto questo, però, è necessaria una logica diversa. Se dieci hanno aperto una strada di libertà, facciamo di tutto perchè anche gli altri novanta possano mettervi piede. Anche questa è una forma di “micro-accoglienza”, anche questi sono naufragi causati dall’incuria. L’essere foresto, molto spesso, non è solamente questione di pelle e di lineamenti ma semplicemente di speranza: quella offerta, quella mostrata, quella vietata. E’ questione di metterci un senso alle azioni perchè diventino sensate. Anche seducenti: l’esatto contrario di controproducenti.
(da La Difesa del popolo, 9 maggio 2015)