Bellissime quelle anfore. Son diventate magiche quelle sei anfore riempite fino all’orlo di «vino nuovo». Apparse così, tra l’altro, quasi sul calare della festa, quando logica vorrebbe che più la gente è brilla meglio l’oste riesca a spacciare per buono anche l’aceto. Cristo, invece, non ne approfitta del tasso alcolemico degli invitati: fedele all’insegnamento materno (o paterno) che è sempre l’ultima chiave del mazzo ad aprire quella benedetta porta, sarà sempre anche l’ultimo bicchiere di vino a lasciare di stucco il palato. Sei anfore diventate l’emblema di una festa ch’era sul punto di saltare per aria – e, in allegato, una figura alquanto barbina per i due sposi novelli – e che, invece, è entrata di prepotenza in tutte le storie dei matrimoni per quella presenza tanto inattesa quanto sognata: “Cosa vuoi che ci faccia piacere come regalo – avranno detto gli sposi a Maria quando chiese loro cosa poteva portare in segno di riconoscenza -. Sai già che, anche solo per il caffè, se passasse il tuo Gesù batterebbe qualsiasi regalo. Vedi tu, senza impegni!” Il vecchio trucco per risolvere l’irrisolvibile: chiedere alla madre che interceda presso il Figlio. Qualunque sia la madre, di qualunque sia l’uomo di cui si desidera la presenza perchè accenda l’allegrezza nel cuore. Potrà mai, il Figlio, dire di no alla Donna che, per farlo venire al mondo, si inimicò il mondo stesso di sospetti, dicerie e quant’altro? «Alle nozze (venne) anche Gesù».

Le anfore, riempite fino all’orlo, sono la goduria degli occhi, del palato. E di questo se ne accorgono tutti. Come tutti sono d’accordo, e s’accordano, nel dire che la prodigalità del Cristo è stata apprezzata anche dai non credenti in sala. Quelle anfore, però, prima che dal vino sono state riempite fino all’orlo dallo sguardo di Maria. È stata lei – prima di Cristo, prima degli sposi – ad accorgersi che la spia del vino nelle anfore lampeggiava: «Non hanno vino». E non poteva esser altrimenti: essere madre è sedersi a tavola, iniziare a mangiare per ultima e tenere sempre uno sguardo a disposizione della tavolata in modo tale che tutti abbian tutto. Al minimo sospetto: “Manca qualcosa?” Maria sa bene il fatto suo: una donna che sa ben parlare non vale quanto una donna che sa ascoltare con attenzione. Che sa ascoltare il “non detto” con lo sguardo prima che con l’udito ciò che si dice ad alta voce. Rimarrà la sua specializzazione: leggere le storie che nessuno legge, tradurre i dettagli che nessuno scruta, ascoltare quello che nessuno ode. Il suo mestiere? Trovare il tempo per gli altri quando nessuno ha più il tempo per nessuno, nemmeno per se stesso. Per lei prevenire è meglio che curare: per questo cerca di risolvere il problema ancora prima che gli sposi si accorgano del problema. Questione di stile: “Se si accorgono, si sentiranno una miseria: cerchiamo, Figlio, di venire in loro aiuto ancora prima che loro ce lo chiedano”. Maria lo sa che, qualcuno, per vergogna non chiederebbe l’aiuto.

Scrisse il vero, dunque, il sommo poeta, Dante: «La tua benignità non pur soccorre / a chi dimanda; ma molte fiate / liberamente il dimandar precorre» (Paradiso XXXIII, 16-18). Ancora prima che l’uomo e la donna si accorgano di versare in una situazione complessa, lei avvisa il Figlio di intervenire, giocando d’anticipo: “Ci sono già tanti in giro, Figliolo, che sbattono l’uomo a terra per poi soccorrerlo e chiedergli il costo del pronto intervento, che noi cercheremo di far in modo di aiutare diversamente. Aiutare ancor prima che s’accorgano che loro han bisogno d’aiuto”. Eccola la soccorritrice di Dio pitturata da Dante: «Molte fiate liberamente il dimandar precorre». Il basilico, quella volta, era tutto giallo: la nonna lo trapiantò, lo mise in un vaso più grande: “Vedi, mi rinfacciò, che non era brutto come dicevi. Era soltanto nel vaso sbagliato”. Certi problemi non son irrisolvibili: sono semplicemente in attesa dello sguardo giusto. E gli sposi? Loro tacciono, nel Vangelo. C’è da credere che più del gesto fatto, dello stupore visto ricorderanno per sempre come sono stati trattati nel momento della difficoltà.

(da Il Sussidiario, 18 gennaio 2025)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Vangelo di Giovanni 2,1-11).

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