La cosa più terribile, stamattina, sarà la solita che si riaffaccia ogni volta che la storia del nostro paese ci invita ad andare alle urne: quella di lasciare che a decidere del nostro futuro siano altri, persone-altre da noi. L’arte del fare politica è la vetta più alta che il pensiero umano abbia partorito nel suo perpetuo (bi)sogno di darsi un’organizzazione: non occuparsi della politica, allora, è non occuparsi di noi stessi, degli antenati e dei posteri. Il voto è l’unica possibilità rimasta per cercare di esprimere quel desiderio di nazione, di governo che ci arde nel cuore. L’indifferenza è una bestia lurida, bussa sempre alle porte nei giorni delle elezioni: “Sono tutti uguali i politici!” Un’espressione che fa battere le mani al mondo disonesto: si compiacerà d’esser riuscito a mettere in circolo quella confusione d’intenti che è la mecenate di chi sogna che le cose vadano sempre per la stessa direzione. Che non cambino mai. Quella che, per tenere a bada la folla urlante, starà sempre dalla parte di Barabba. Sceglierà sempre Barabba.
La campagna elettorale è stata straordinaria: nessuna nazione al mondo, domani sera, potrà competere per organizzazione con l’Italia. Perchè, chiunque sarà il vincitore, certamente sistemerà per sempre il destino della collettività. La somma di tutte le promesse fatte è da Premio Nobel per la politica. C’è dentro la soluzione a tutto ciò che fa soffrire l’umano: la vittoria sulla cassintegrazione e il diminuire della tasse universitarie, le pensioni aumenteranno e il pane sarà più buono, gli stranieri resteranno a casa loro e nevicherà anche a Ferragosto, i poveri (italiani) saranno saziati e le donne saliranno al potere. Il debito pubblico diminuirà, il PIL aumenterà, l’Italia s’illuminerà di notte. Il grano maturerà anche a dicembre, la luna brillerà a mezzogiorno, si guadagnerà senza lavorare. Con il dispiacere che consegue, ho raccolto in un foglio tutte le promesse costruite per l’occasione e lo stato che mi è apparso è uno stato da sogno: liberi cittadini che accettano la sfida politica per dare il meglio di sè a favore dell’altro, per cercare un futuro all’altezza dei bisogni, una soluzione a ciò che affatica il quotidiano. Poi, però, ho dovuto calcolare un’ipotesi che rende il tutto meno sicuro: «Anni fa le fiabe iniziavano con “C’era una volta…” – scrive C. Warner -. Oggi sappiamo che iniziano tutte con “Se sarò eletto…» Quasi ad anticipare che, se non sarò eletto, non m’importerà più di tanto di ciò che riguarda la mia nazione.
Senza troppo batticuore, però oggi andrò a votare: nel mio albero genealogico, nella storia civile del mio paese, sono custodite storie che hanno dato la vita perchè avessi questa possibilità. Me la giocherò, da cittadino e da povero-cristiano, cercando di organizzarmi il voto cucendo assieme quattro idee che, al servizio del bene comune e della pace sociale, contribuirebbero a dare ossigeno alla mia Italia: «La realtà è superiore (più importante) all’idea, il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, il tutto è superiore alla parte» (Evangelii Gaudium 217-237). Non le declino per una mera appartenenza alla Chiesa: obbedienza è esatto contrario di servilismo. Le sento ardere perchè, nei bassifondi dove batte la storia dei poveri, ciò che conta è la silenziosa capacità di ascoltare la realtà, d’accettare che la verità ami i tempi lunghi, che la visione d’insieme sia sempre più spaziosa del piccolo giardino di casa mia. Del mio partito d’appartenenza.
Non vedo l’ora arrivi domani: sarà un giorno bellissimo. Il vincitore metterà in pratica le promesse fatte, chi perderà si applicherà ancora di più nel rendere storia le sue promesse. L’impegno civile non funziona «Se sarò eletto», ma è il cuore di ogni libero cittadino che si espone a servire. Se non sarà così, saranno stati giorni d’inutile illusione. Nel frattempo ho scelto chi votare. Ho sentito uno dire: “Prometto solo che m’impegnerò”. Senza aggiunte. Gli darò la mia fiducia.
(da Il Mattino di Padova, 4 marzo 2018)