Li guardi e li scopri attoniti e muti: d’altra parte sarebbe esigere troppo il pretendere nei loro volti la gioia di chi ha trovato il suo posto dentro il mondo. L’ultima manovra finanziaria ha dato loro una duplice certezza: il fallimento di una certa politica soccorsa da un governo di tecnici e la consapevolezza che il loro futuro sarà doppiamente in salita. Forse meritavano un po’ di più, dopo tutto quello che s’è speculato sulla loro anagrafe: “i giovani sono il nostro futuro, il domani sarà loro, investiamo sui giovani, le risorse giovani”. Le balle dei dinosauri, aggiungiamo noi, che la frittata hanno pensato bene di farla mangiare a quella generazione che hanno falsamente amato.
Anche il più indomito dei sognatori – dove la capacità di sognare non sia sinonimo d’ingenuità – sentirebbe la speranza vacillare e le vene tremare. Invece viene dalla maggior parte di loro la lezione più bella: “loro non mollano, nemmeno noi”. E rispondono con una sete di riscatto ringiovanita agli ultimi spasimi di una dinastia che ha sperperato il patrimonio di tutti irridendo fino all’ultimo la responsabilità loro data.
Se nemmeno stavolta i giovani s’arrenderanno, c’è da scommetterci che partiranno con una marcia in più: perchè quando tu li pensi sconfitti, loro scattano in contropiede e ti ribaltano la partita. E’ la vecchia logica della storia, cantata pure da Giovannino Guareschi quando dal fondo del lager gridò: “Non muoio neanche se m’ammazzano”. Perchè all’uomo puoi togliere tutto ma non la capacità di trovare gli stimoli più fecondi proprio nel massimo della ristrettezza: se al giovane togli qualsiasi senso di sicurezza, gli rimane comunque la sete di cercarla in quei posti che gli adulti hanno finora disertato. Ecco perchè nemmeno stavolta molleranno la presa, siano essi i possibili protagonisti di un rinnovamento politico, ecclesiale o educativo. Non molleranno perchè hanno capito da dove ripartire per disorientare gli ultimi tiranni rimasti in circolazione: non accontentarsi della materialità ricercando quella felicità che dà valore ad una vita. Chi li ha preceduti spesso e volentieri ha fatto a pugni con il Cielo o, per la maggior parte, s’è dichiarato maggiorenne nei confronti di un Dio che chiedeva l’umiltà di non sentirsi padroni dell’universo nelle sue varie sfacettature. Smarrita la direzione verticale, hanno deciso che tutto si doveva giocare nell’orizzonte della storia concreta, della vita quotidiana senza lanciare lo sguardo ai “perchè” ultimi della vita. Hanno scelto liberamente ma non troppo liberamente dovranno ammettere la loro miopia nel non aver saputo guardare oltre il semplice benessere del quotidiano. Chi tra loro ha invece salvaguardato le due direzioni nell’impostare la sua vita è oggi ancora autorevole agli occhi dei giovani perchè, dopotutto, si sarà preoccupato di insegnare non solo come si fa a vincere nella vita ma sopratutto come fare per gestire il peso di una sconfitta.
Nell’alfabeto di un dinosauro non esiste il termine “sconfitta”, come non esiste il verbo riflessivo “tirarsi in disparte”. Ad essere sinceri con loro, in tempi passati non avevano neppure conteggiato il verbo “estinguersi”; ma a conti fatti di loro sono rimasti i fossili ad imperitura memoria di cosa significhi avere un cervello piccolissimo incapace di governare quintali di carne senz’anima. Dei dinosauri di quest’era non rimarranno i fossili, ma le impronte da pachiderma a complicare la storia futura. I giovani non molleranno e questa sarà l’ennesima sconfitta di chi si pensava necessario: d’altronde i cimiteri sono pieni di persone che si pensavano tali.