sorpresaUn grande spettacolo di carità che genera una sovrabbondante solidarietà umana. Basterebbe questo gesto – fare la spesa per chi ha bisogno – per annoverare la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare come un gesto d’umana attenzione verso l’altra faccia dell’Italia, quella che soffre ma non smette mai di sperare. La filosofia dell’antichità c’ha tramandato il detto “homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo) ma il cristianesimo non ha tardato a perfezionarla in un più amabile “homo homini Deus” (l’uomo è un Dio per l’uomo): perché l’essere umano è capace dei delitti più inimmaginabili come pure delle risurrezioni più inaspettate.
Dietro le sbarre delle patrie galere vivono i reclusi, quelli che gli orizzonti li vedono ristretti, i lupi della società che in virtù di un delitto commesso ristagnano nel fondo delle celle e nel dimenticatoio della società cosiddetta civile. Eppure stamattina nel Carcere Due Palazzi di Padova la maggior parte dei detenuti scenderà a messa con il sacchetto giallo dentro il quale ci sta un pacco di pasta, una scatola di piselli o una semplice confezione di prugne. La portano per poi farla arrivare anche loro al Banco Alimentare. La comperano magari rinunciando ad un pacchetto di sigarette, spartendo il pacchetto aperto con un compagno di cella e destinando l’altro a chi ha più bisogno, sfruttando quell’euro “omaggio” lasciato sul conto corrente da qualche buon angelo di passaggio. Lo fanno perché – parole loro – «almeno qui il vitto e l’alloggio ce l’abbiamo. Là fuori c’è gente stremata»: detto da loro arreca uno strano effetto. Loro lo sanno che non sarà questo gesto anonimo a far abbassare il peso della loro pena: oramai là dentro sono abituati a coniugare i verbi con i tempi lunghi. Eppure nella semplicità di questo gesto passa anche la bella lezione di un periodo di pena. Perché quando ti viene tolto tutto e viene ridotto al minimo il tuo spazio vitale sono due le possibilità che ti rimangono: o dare voce al lupo che sta accovacciato davanti alla tua anima o cercare di aiutare il volto angelico che sta scritto nel sogno di Colui che t’ha creato. E non ti dimentica.
C’è chi dà tanto perché ha tanto e c’è chi dà tanto anche se non ha niente: è la lezione della povera vedova del Vangelo o il bellissimo monito di quella gran donna che fu Teresa di Calcutta la quale raccomandava di fare il bene, ma di farlo fatto bene. La domenica della solidarietà: anche questa è una faccia dell’Italia, quella faccia che accomuna ergastolani e presunti liberi, professionisti e spacciatori di bassa lega, docenti universitari e analfabeti sensibili. Quell’Italia che – avvezza purtroppo ai tempi lunghi delle promesse – si rimbocca le maniche per far sentire quel cuore che la pervade e la rende capace di piccoli gesti grazie ai quali non smettere mai di immaginare un mondo migliore.
Da anni i sondaggi danno in netto calo la frequenza alle liturgie e alla pomposità dei templi sacri. Parallelamente crescono a dismisura i piccoli segni di bontà e d’umana attenzione verso coloro che nel Vangelo vengono considerati piccoli e indifesi. Chissà se il buon Dio – magari vestito in borghese per confondere meglio la sapienza dei dottori e dei sapienti – non nasconda la sua voce dietro queste piccole liturgie della carità per proporre un modo nuovo d’essere uomini prima che cristiani. Perché un cristianesimo orfano del lato umano o è una libera interpretazione del messaggio evangelico oppure deve ancora intuire cosa significa l’incarnazione di Dio. Forse per questo oggi inizia l’avvento: per ricordare all’uomo il suo stretto legame con l’Eternità.

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