dismaNella topografia di una Diocesi, ad ogni comune solitamente corrisponde una parrocchia. Ad ogni parrocchia corrisponde un campanile, una chiesa e un parroco. Ad ogni chiesa spetta un santo patrono: dalla Cattedrale sino a quella piccola pieve tra l’argine e il bosco. Immagino la concorrenza nella scelta dei pretendenti: dai più inflazionati – Maria, nelle sue varie vesti, e gli apostoli – fino alle ultime storie di santi che abitano le periferie della memoria: Ermagora e Fortunato di Aquileia o Gottardo di Hildesheim. Gente seria i santi: anni di ricerche e di indagini, faldoni di carte e tomi processuali, inesauste diatribe tra difesa e accusa. Poi, un giorno, giunge la santità decretata dalla Chiesa: con l’aggiunta di qualche pieve che li sceglie come protettori, acclamati a furor di popolo, d’incensi e di sagre festanti. Per tutte le parrocchie è così. Tutte, tranne una: quella del carcere. Che, ad essere rigorosi, non è neanche parrocchia.
Qui il titolo della parrocchia è chiaro: “San Disma, il Ladrone”. Di questo santo, vissuto approssimativamente nel I secolo, si conoscono solamente due coordinate: il luogo di morte (il colle del Golgota) e la professione (ladrone). Ce ne sarebbe un’altra a dir la verità, ma è un po’ scomoda da ricordare: è stato l’unico santo – non se la prenda, per carità, Francesco d’Assisi, Domenico di Guzman o altri – canonizzato da Cristo. Il primo santo della storia che nessun calendario osa ospitare, nemmeno quelli liturgici: come risponderebbero i buoni parrocchiani ad un tipo così poco raccomandabile, entrato a far parte dei “nostri” solo negli ultimi cinque minuti della sua vita burrascosa? Così anche lui, ironia della sorte, è finito alla periferia della memoria. E noi “dietro le sbarre” ce lo siamo subito adottati, pur non soffrendo concorrenza alcuna. “Santo Disma, ladrone del Cielo. Ora pro nobis”. La litania del popolo delle galere.
Non ha chiesto nulla Disma: nessuna amnistia, solo un semplice ricordo di lui Lassù: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Lui i tempi lunghi dell’attesa li conosceva, li aveva messi in conto pure stavolta. Invece s’imbatte nella fretta di Cristo che deve trovarsi un compagno per inaugurare il Paradiso: “stasera sarai con me in Paradiso”. Il Cielo ha tanta pazienza; certi giorni, però, ha una fretta imbarazzante. Non ruba il Paradiso Disma, semplicemente riconosce in quel Volto sfigurato l’uomo che arreca la Salvezza. Lui, il brigante di bassa lega, in pochi istanti riscrive un’esistenza riempiendola delle cose più vere: confessa le sue colpe, proclama l’innocenza di Cristo, zittisce l’arroganza del compagno, riconosce la regalità di Cristo nella disperazione della Croce. Crede davvero che quel Volto è il portone per il Cielo. Qualcuno va perdonato perchè non sa quello che dice. Questo, invece, sa quello che dice. E stasera lui è con Lui. Alla faccia di Pietro e compagnia!
Fino a ieri c’era l’imbarazzo del carcere in una città. Adesso c’è anche l’imbarazzo di una parrocchia in Diocesi. E del suo santo Patrono, al quale fu evitato persino il processo diocesano di beatificazione: una canonizzazione per direttissima. La parrocchia di San Disma: perchè “nessuna cella è così isolata da escludere il Signore”. Una parrocchia dove Cristo è sempre di corsa, proprio come in un ospedale da campo dopo una battaglia.

(dalla rubrica “Lupus in carcere” de La Difesa del popolo, 24 novembre 2013)

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