papafiglio

Parole di testamento. Più somma di briciole che un discorso articolato. Cristo ha il fiatone tipico di chi è arrivato sotto al patibolo. Parole-frammenti, dei complementi d’intimità: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1-12). Le risposte degli amici, a quel discorso così contornato di pause, furono di smarrimento, singhiozzi di passeri dopo una sassaiola: «Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?» A domanda di uomini, piombarono loro addosso parole ad altissimo tasso di stupore: «Io sono la via, la verità e la vita». Ancora oggi, dopo millenni, il paradosso è l’unico linguaggio col quale Dio riesce a fare dell’uomo un possibile santo. Parve, a quegli uomini, quasi terribile quel sentirsi carezzare il volto dal verbo coniugato all’indicativo-presente: «Io sono». Quel loro amico di Nazareth dice d’essere identico alla vita, alla verità. Dice che per loro si sdraierà per terra, diventerà una strada, si farà loro strada nelle serate in cui più nessuna strada sembrerà a disposizione. Un Dio costruttore di strade, anche poi Dio-fornaio – «Prendete e mangiate» -, Dio crocifisso: “Datemi la vostra umanità, vi darò la mia divinità”. Tutto troppo forte per dei cervelli abituati al lume di candele: il sole di mezzogiorno li acceca, per l’ennesima volta. Calcolate che non sarà l’ultima.
Cristo, insomma, sta cercando di dire loro che fra poco s’accorgeranno di ciò che già vedono, senza accorgersi: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio». È grammatica umana quella di risalire al padre tramite il figlio: “Guardalo: è tutto suo padre. Quando cammina, quando gesticola, anche quando sale in macchina”. Filippo è un esagerato, o forse s’è innamorato troppo del Figlio da voler conoscere tutta la famiglia sua, sopratutto il Padre: «Mostraci il Padre e ci basta, Signore». Quegli amici erano diventati intimi con Lui. Mano a mano che la loro intimità cresceva, l’amore dettò le sue condizioni: voleva avere una visione chiara di chi fosse il Padre di cui parlava. Tante volte, quand’erano pellegrini per la Galilea, aveva detto loro che Dio è Padre: «Quando pregate dire: “Padre nostro”». Gli credettero, iniziarono a dare del tu a quel Dio che era così vicino d’apparire persino nascosto nelle loro tasche, si fidarono quando l’Amico diceva loro che andava d’accordo col Padre, che loro due erano una cosa sola. Ciò che non calcolarono – più per troppa luce dal Cielo che per poca intelligenza dalla terra – fu quella di vedere il Padre stesso all’opera, nascosto nelle opere del Figlio suo: «Chi ha visto me ha visto il Padre». Tutto così chiaro, tutto così oscuro, così denso di mistero e di luce. Disumano per degli umani.
Il primo fu Telemaco, creatura-prima di Omero. Sfibrato nel sentire cantare le lodi di Odisseo, una notte fece fagotto e decise d’andare alla ricerca di quel padre: le parole, pur intime, non gli bastavano più. A bruciargli nel cuore era la vera-presenza del Padre suo. Pellegrino-a-ritroso, sfidò la gente a dirgli niente di meno che la verità circa il padre: «Ma tu non dirmi parole per rispetto o pietà, ma raccontami bene quanto ti capitò di vedere» (Odissea, III) mise in chiaro a Nestore. Una verità che sia capace di esprimere se stessa, senza chiedere aiuto ad altri: questo cercò il primo ragazzo della letteratura, Telemaco. Questo cerca l’ultimo ch’è nato: sapere da che storia arriva, per poi decidere da che parte andare. È voglia-matta di trovare un volto nel quale sentirsi sicuri quando tutt’intorno è buio: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». La voglia di vedere il Padre all’opera, d’apprendere da lui il mestiere della vita: “Mio padre – disse Luisa al funerale del suo papà – non mi ha mai detto come dovevo vivere. Lui viveva e lasciava che io lo guardassi vivere. Guardandolo, mi sono accorta che stavo diventando una donna. Grazie, papà”. Ogni figlio è suo papà-in-miniatura: guardando il figlio s’indovina il padre.
Mai nessun Vangelo fu più umano di così.

(da Il Sussidiario, 13 maggio 2017)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Giovanni, 14,1-12).

 


(foto tratta da www.industriaitaliana.it)

 

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