Io dico grazie a Tommaso, perché anch’io ho bisogno che Gesù non sia un fantasma. E nella mano di Tommaso c’è la mia mano, ci sono tutte le nostre mani, di noi che crediamo senza aver toccato, ma perché altri hanno toccato, perché altri sono testimoni. Con fierezza l’Apostolo Giovanni scrive: «Ciò che noi abbiamo toccato, ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita, questo e solo questo noi vi annunciamo» (1 Gv 1, 1).
A ciascuno di noi Gesù ripete: «Guarda, stendi la mano, tocca». Cioè «ritorna ai giorni della Croce, guarda a fondo, ascolta la parola della Croce, fino alla vertigine guarda dentro quei fori. Riporta i tuoi dubbi al luogo della Croce. Non stancarti di ascoltare la passione di Dio». È la sua parola suprema: è la Croce che ci fa credere, sono le piaghe di Cristo. Ma ciò in cui crediamo è la vittoria della Croce, le piaghe diventate luminose. Gesù oggi non nasconde, quasi esibisce le sue ferite: il foro dei chiodi, toccalo! Il costato, puoi entrarci con una mano!
Piaghe che non ci saremmo aspettati, convinti che la risurrezione avrebbe rimarginato, chiuso, cancellato per sempre le ferite del Venerdì Santo, le stigmate del dolore. E invece no.
Perché la Pasqua non è il superamento gioioso della passione, ne è la continuazione, il frutto maturo, la conseguenza. Le piaghe restano, per sempre. Ed è proprio a causa di quelle piaghe che Cristo è stato risuscitato. L’amore ha scritto la sua storia sul corpo del Nazareno con la scrittura delle ferite: amore incancellabile, e per questo ferite incancellabili.
E luminose: dalle piaghe del Risorto non sgorga più sangue, ma luce; le ferite non sfigurano, ma trasfigurano. Allora capiamo che il cuore ferito con le sue cicatrici, il nostro cuore come il suo cuore, può diventare più capace d’amore, e di guarigione, possiamo tutti diventare dei «guaritori feriti» (Henri J. M. Nouwen).
Proprio attraverso quelle ferite che ci parevano colpi duri o insensati della vita, proprio per quelle, noi diventiamo capaci a nostra volta di comprendere altri, di venire in aiuto ad altri nell’attraversare le stesse tempeste. Credo che conosciamo tutti dei ragazzi vittime della droga, che poi diventano a loro volta dei salvatori di altre vittime.
La nostra debolezza allora, come quella di Pietro, dei discepoli, di Maddalena, non è un ostacolo, ma una risorsa per meglio seguire il Signore, per meglio venire in aiuto ad altri. La debolezza non è più un limite, ma si trasfigura in opportunità.
(Ermes Ronchi)
Buongiorno!