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Geremia, il profeta, è un sacerdote del villaggio di Anatoth nel territorio di Beniamino (1,1), vissuto durante il regno degli ultimi re di Giuda: Giosia (640 a.C.-609 a.C.), Ioacaz (609), Joiakim (609-598 a.C.), Ioiachin (598-597), e Sedechia (597 a.C.-586). Figura molto particolare, la sua: uomo solitario a causa del messaggio impopolare che trasmette, si ritrova in contrasto con le autorità, vorrebbe sposare Giuditta, ma Dio stesso gli impedisce di prendere moglie. Abbiamo testimonianza di quel sentimento di inutilità che ogni tanto pervade questo profeta pertinace, ma poco ascoltato, all’inizio del brano («Dall’anno tredicesimo del regno di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, fino ad oggi sono ventitré anni che mi è stata rivolta la parola del Signore e io ho parlato a voi con premura e insistenza, ma voi non avete ascoltato», Ger 25, 3).
Il contesto della Prima Lettura è la minaccia d’invasione dei popoli del Nord (i Babilonesi di Nabucodonosor). Tuttavia, attraverso il numero simbolico dei 70 anni, è profetizzata la disfatta dei Babilonesi, quasi a ricordarci che, per quanto lungo possa essere un periodo negativo, esso non contiene il “tutto” della nostra esistenza.

Anche stavolta, nella Seconda Lettura, ci troviamo nuovamente di fronte alla problematica dei gentili e del popolo eletto. È sempre San Paolo, senza causare alcuno stupore, a parlarcene lungamente. Non è solo giudeo, bensì è un ebreo osservante, cresciuto ed educato alla scuola di Gamaliele, uno dei rabbini più in vista del tempo: l’appartenenza al popolo eletto, per lui, non è solo un accidente oppure un dato di fatto, ma un motivo di orgoglio, tanto che – senza dubbio – dovette provare frustrazione e dolore nel constatare come il rifiuto della maggioranza degli ebrei li escludesse – di fatto – dall’economia di salvezza. Non credere in Cristo come figlio di Dio non può – infatti – essere considerato un accessorio opzionale: altrimenti, si dovrebbe pensare che la stessa Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione non siano passaggi ineludibili per la Redenzione dell’uomo. Non è da escludere, anzi, che la “spina nella carne” a cui accenna in altri brani possa essere proprio questa consapevolezza dell’indurimento del popolo d’Israele, che provoca in lui una sorta di caesura, tra la propria vita nella carne, legata al giudaismo per la discendenza, e quella nello spirito, tramite il quale abbraccia con entusiasmo la causa dei Gentili per il Regno dei Cieli.
Eppure, pare che sia proprio il mistero dell’elezione irrevocabile d’Israele la chiave di volta per comprendere l’allargamento della tenda in favore dei Gentili che, inizialmente, non era affatto vista di buon occhio dai cristiani provenienti dall’ebraismo. Paolo si domanda infatti, con speranza: se dal rifiuto d’Israele, è nata la salvezza per i pagani, quanti frutti positivi potranno allora venire dalla riconciliazione d’Israele con Cristo e col Vangelo, che hanno rifiutato?

Nel capitolo 10 del Vangelo di Matteo, Gesù invia i suoi discepoli e, prima che partano, fa loro delle raccomandazioni, come farebbe ogni madre. Curioso notare la presenza dello “zampino” dello scrivente. Se Marco, scrivendo per i romani, permette i sandali e il bastone (Mc 6,8), Matteo, invece fa un elenco, simbolicamente (numero della pienezza), di 7 cose da evitare, quale invito ad avere fiducia nella Divina Provvidenza e nella solidarietà umana.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8) è l’esortazione – cuore (in quanto posta al centro dell’estratto) che ci raggiunge, stavolta, dal vangelo di Matteo, reclamando il senso dell’intero brano.
Gratuità è quello che caratterizza il cristianesimo. Se dovessimo scegliere uno slogan che ci identifichi, probabilmente un buon pubblicitario sceglierebbe questa frase. Perché è semplice, perché resta impressa. Ma, soprattutto, perché riesce a condensare, in pochissime parole, la realtà della pretesa cristiana.
Che è quella di un Dio che si fa uomo, per amore. Che non cerca il potere, perché è già onnipotente (i deliri d’onnipotenza nascono tutti dalla cocente consapevolezza di non esserlo e nell’illusione di sentirsi tali, opprimendo i deboli). E che, anche quando domanda di fare qualcosa, non ha mai il sapore d’ un ricatto, perché lascia sempre intatta la nostra opportunità di sottrarci a Lui, da quando nasciamo fino al nostro ultimo respiro!

(Rif: Letture festive nella XII Domenica dopo Pentecoste)


Fonti: L’Angolo dei Ritagli, Commenti al Vangelo

Fonte immagine: Pexels

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