Nato come ponte di collegamento tra il parroco e la sua comunità, qualcuno ha fatto storia per la sua capacità d’incidere culturalmente, qualcun altro è entrato nel cuore della gente per le riflessioni del suo pastore, qualche altro ancora viaggia citato sovente nei siti internet che registrano le espressioni più ambigue raccolte qua e là. Altri ancora sono il gancio ghiotto della cronaca locale per scoprire spostamenti, dicerie e il respiro della chiesa diocesana. Parliamo del foglietto parrocchiale che, stampato nella maggior parte dei casi dal parroco rigorosamente nel suo ufficio (magari firmando qualche “editoriale” un po’ troppo creativo), rappresenta la voce della chiesa nel quartiere, nel rione o nel villaggio di montagna. Son sempre belli i foglietti parrocchiali d’agosto: perché, a nuotarci dentro senza l’ingenuità del neofita, raccontano gli stati d’animo, i sentimenti e le decisioni della parrocchia, del vicariato, della Diocesi. A volte si usa un linguaggio in codice per dire e non dire, a volte si dice per non dire, a volte non si dice per dire: è la grammatica che i più scelgono quando vogliono tenere il mistero mostrando, però, l’incapacità di tenerlo fino in fondo. Son segnate le messe per i defunti: ma non mancano di certo le frecciatine politiche (già smascherate da questo giornale), le contorsioni economiche per fare quadrare i bilanci, le riflessioni bibliche pronte a tramutarsi in istant-book di successo.
E’ tutta bella la letteratura che si raccoglie trafugando tra queste piccole testate (qualcuna pure registrata): ma sono ancor più belli nei mesi estivi, laddove – fedeli a quel magnifico verso del D’Annunzio poeta “Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. / Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori / lascian gli stazzi e vanno verso il mare” (L’Alcyone) – si racconta e si mette fine al toto-scommesse nei cambiamenti di parroco e di parrocchia. Non serve essere capaci di esegesi biblica per leggere, accuratamente nascosti tra le righe, i sentimenti e le emozioni che albergano nel cuore di un prete quando riceve la fatidica chiamata a tentare altri lidi. Qualcuno racconta la gioia dell’obbedienza, qualche altro (forse più umanamente) fa i conti con l’animo dell’uomo che parte senza nascondere il legame e la nostalgia di ciò che s’abbandona, qualcuno firma qualche frecciatina per ricordare che a scacchi è sempre rischioso giocare quando ci sono degli uomini di mezzo. Altri, molto più misteriosamente, annunciano periodi sabbatici, di stand-by per born-out, di “vacanze non godute”: espressioni tipicamente ecclesiali che spesso danno adito a fraintendimenti colossali. Con conseguenti dicerie tra i vicoli del quartiere.
Eppure dentro quelle “testate parrocchiali” (qualcuna redatta con la vecchia macchina da scrivere e col cancellino, altre professionalmente somiglianti alla grande editoria nazionale) sta nascosta la vita semplice e appassionata della maggioranza dei nostri parroci. Che alle inchieste pericolose e ancora in fase di ebollizione di Panorama, alle denunce nefaste delle inchieste giudiziarie e al tradimento vergognoso di certi confratelli rispondono con la paziente cura di chi, giunto in capo ad ogni agosto, riparte per rilanciare l’andatura e far crescere la parrocchia. Non temono gli scossoni, non cercano la gloria degli zucchetti, non rifiutano di difendere persino i confini più lontani della Diocesi: sporcarsi le mani e servire la gente è da una vita la loro scelta e la loro missione.
Tutti lo sanno – anche chi non legge il foglietto parrocchiale – che nella canonica del paese abita il prete. Ma può anche starci che, tra le vie abitate, ci stia qualche famiglia alla quale l’uomo col colletto bussa per sentirsi meno solo! Anche questo si legge nella rassegna stampa dei foglietti: è una precisazione. Ma forse anche una richiesta d’aiuto: per non morire di solitudine.