Come custodi di un forziere preziosissimo. Perché per loro – “angeli” per chi ha le ali impigliate nella rete della miseria e della solitudine – l’uomo e la donna, in qualunque caos abitino, rimangono pur sempre la scommessa più bella sulla quale investire. La festa degli “Angeli Custodi” – figure straordinariamente familiari sia ai fanciulli che agli anziani – è un’occasione bella per celebrare oggi il pensiero e l’azione di tutto quel mondo silenzioso e discreto che va sotto il nome di “volontariato” e che costituisce l’altra faccia dell’Italia, quella che non smette di sperare. Chi è il volontario se non una persona che, allenatasi a leggere il volto del fratello con lo sguardo di Cristo, accetta di giocare il suo tempo per riaggiustare quell’ala spezzata che gli impedisce di spiccare voli? La filosofia ci ha tramandato il motto: “homo homini lupus” (“l’uomo è un lupo nei confronti dell’uomo”). Il cristianesimo, che dell’uomo ha fatto il capolavoro meglio riuscito, ne ha corretto la traiettoria, impreziosendola di speranza: “homo homini Deus” (“l’uomo è un Dio per l’uomo”). E di quest’avventura ambiziosa e paradossale il volontario ha deciso di fare il suo biglietto da visita, fino ad investire ciò che di più impagabile c’è nella sua vita, il tempo, per cercare di ridare forma e bellezza a delle esistenze ferite, umiliate o semplicemente rimaste a corto di sogni.
Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry soffriva per il fatto che i grandi amano solo le cifre e dimenticano le cose essenziali: “non si domandano mai: qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle? Ma vi domandano: Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre? Allora soltanto credono di conoscerlo” (cap. IV). Conoscerlo per poi amarlo: scendere nel baratro delle sue miserie, amare l’uomo quando meno se lo meriterebbe (perché forse è allora che ne ha più bisogno), stanare l’elisir della Bellezza dentro la grammatica della miseria più cupa per sentirsi protagonisti di un’avventura di ricostruzione simile a quelle raccontate nelle pagine della Scrittura. Perché la povertà, nelle sue diverse accezioni, diventa per il volontario il palcoscenico ideale per tratteggiare il volto bello dell’essere uomini. C’è una povertà economica e sociale ed è quella più manifesta e scandalosa; ma c’è anche una povertà più graffiante e urgente ed è la povertà di sogni e di desideri, di immaginazione e di riscatto che arreca all’uomo e alla donna un senso di inutilità e di disperazione, fino a decidere che la loro storia non trattiene un senso per il quale valga la pena organizzare nuovamente la speranza nel loro cuore. Ed è qui, all’incrocio tra l’angoscia e la malinconia, che il volontariato cristiano ha ancora una Parola capace di Gioia da sussurrare: assicurare che la vita, che sovente sembra un sussulto di eventi inutili, è dentro ad una storia più grande, è un capitolo, o anche solo un rigo, di quella storia della Salvezza che nasce dal giardino dell’Eden e sfocia nel giardino della Gerusalemme Celeste. La vita come un’avventura incastonata nella grammatica della Bellezza e loro, i volontari, come poeti di una Vita sempre pronta a riprendere il volo.
C’è chi rimprovera alle rose di avere le spine; ma c’è anche qualcuno che ringrazia le rose perché, grazie alle spine, proteggono il bocciolo del fiore dagli attacchi di chi lo vorrebbe distruggere. L’uomo con addosso le spine della povertà – emblema dell’Uomo Crocifisso – è ancor oggi il punto panoramico mozzafiato per mostrare la verità di quel bellissimo prefazio tramandatoci dalla liturgia: “l’amore vince l’odio, la vendetta è disarmata dal perdono”. Perché chi ha deciso di donare del tempo gratuitamente sa di avere tra le mani una forza rivoluzionaria che infastidisce il mondo: ricordargli che le cose più preziose non hanno prezzo.