Nel giardino dell’asilo stava una grande giostra: di un rosso
arrugginito, con le sedie di ferro battuto, rotonda come il sole che la
riscaldava nelle primavere di montagna. Era la nostra passione: ci sembrava di
salire su un ottovolante diretto verso la luna. Ma c’aveva un difetto: essendo
rotonda, c’impediva di vedere bene i volti di tutti i nostri compagni di
viaggio. Così, se qualcuno volea numerare i compagni, doveva uscire dalla
giostra e osservarla da fuori mentre girava all’impazzata, quasi fosse "in
ritardo" sul mondo. Scendere: cioè andar fuori per un attimo, osservarla da
spettatore, denudarsi dei panni del protagonista e indossare quelli del
fotografo.
Da mesi ci penso: mi piacerebbe scendere dalla giostra chiamata "Italia"
e vedere da fuori cosa si vede del nostro paese! Pagherei il necessario per
essere per qualche giorno "straniero" che passeggia per le vie di Roma e scrutare
il volto di questa donna che s’allunga dalle Alpi all’Etna, dal Tirreno
all’Adriatico, dalle cime innevate alle isole assolate. Dalle postazioni dell’America
ci vedono tristi e sfiduciati, le badanti straniere disegnano un popolo dimentico
degli anziani, l’Europa ci vede trastullare nelle ultime posizioni. Solo le
nostre gerarchie possiedono l’arte invidiabile di costruire castelli sulla
polvere, speranza sui cadaveri, promesse sul nulla reiterato all’infinito. Con
una tecnica sopraffine che non patisce vergogna: l’arte di sorridere.
Sorridere: anche se per sorridere ci vuole fegato e fantasia!