Prima lui, poi l’altro. Più che un duetto minuzioso tiene le sembianze di una nenia triste e malinconica perchè il primo (classe 1927) e il secondo (1925) sono due colonne portanti della speranza della Chiesa e della nostra Italia. Ad accomunarli la fermezza della parola, la passione del bene comune, la lungimiranza dello sguardo: non sempre ciò che l’anagrafe dichiara anziano è sinonimo di imbecille. Joseph Ratzinger ha preso per mano la sua Chiesa e, come un orefice della Parola, ha tentato in tutti i modi di riaccendere la nostalgia dell’Eterno dentro la sua stanchezza; Giorgio Napolitano, come un timoniere fidato, ha tenuto ferma la rotta della sua nave dentro il mare in tempesta della politica italiana. Due uomini con i capelli bianchi – e forse pure la spossatezza del fisico – che sono stati capaci di ascolto, di porgere l’orecchio ad una voce, la voce del popolo, per immaginare una nuova mappa, necessaria per veleggiare in un mondo in rapidissimo mutamento e dalla difficile gestione.
Per partire ci vuole sempre una mappa. Nell’antichità, spinti dalle avventure di Ulisse, era forte il desiderio di salpare verso mondi nuovi, di scoprire nuove terre, di attraversare l’ignoto per dare un volto al nuovo. Nessun marinaio parte senza una mappa. L’America è stata scoperta da Cristoforo Colombo, eppure il navigatore genovese non s’addentrò nel mare senza una mappa a disposizione. I finanziamenti erano già in tasca, le caravelle già sul porto ligure, i marinai già facevano le prove generali; ma lui non si mosse senza una mappa tra le mani. Gliela offrì il fiorentino Paolo Dal Pozzo Toscanelli, un mercante di spezie con la passione dell’astronomia. Non essendo un navigatore c’è da immaginare che quella carta fosse imprecisa e incompleta ma necessaria quanto bastava per dare l’inizio ad una delle più straordinarie gesta di navigazione della storia. Lui, Toscanelli, le mappe le componeva ascoltando i racconti delle avventure dei marinai: di chi tornava ed esagerava, di chi non tornava e lasciava detto, di chi scorgeva e faceva supposizioni. Dentro ogni mappa non ci sta solo una traiettoria: ci sta un viaggio che all’inizio è sempre un sogno, diventa poi desiderio fin quasi ad immaginarlo e poi, magari dopo averlo intravisto nelle notti di visioni, raggiungerlo. La scoperta dell’America, come ogni vera scoperta, nacque da un sogno che accese un desiderio e portò alla conquista. Senza una mappa, ogni piccolo viaggio è cagione di imprevisti.
La mappa della fede di Benedetto XVI, la mappa della politica di Giorgio Napolitano: due uomini diversi per formazione, per estrazione e per cultura. Due uomini, però, che pur non avendo mai navigato nei mari hanno saputo scrivere una mappa ascoltando il vissuto della gente comune: la voce della strada e del palazzo, la voce delle galere e dei santuari, la voce della piazza e il silenzio della bottega, l’arte dell’orafo e la passione del contadino. Fino a tratteggiare un percorso di rinascita spirituale e politica da troppi non ancor apprezzata e valorizzata. Se ne vanno in punta di piedi e con l’umiltà dei piccoli gesti. Di loro rimane il testamento umano: dietro ogni mappa – necessaria per qualsiasi viaggio – c’è sempre un insieme di voci da accordare; per accordarle c’è prima bisogno di qualcuno che le ascolti e dia loro l’occasione di esprimersi.
La loro uscita di scena accende la nostalgia delle partenze di un tempo: stipati sui binari di un treno in partenza, non ci rimane che guardare il loro volto illuminato e sperare in giorni di luce. Con la convinzione che dietro ogni viaggio – anche e sopratutto quello della fede – è sempre nascosta una mappa; e dietro ogni mappa ci sta la mano di un qualcuno che, umilmente in ascolto, unisce i fili di mille racconti e di altrettante voci per dare all’uomo la possibilità di non viaggiare guidati dal caso; ma spinti da un desiderio capace di infondere nell’uomo la passione per le grandi avventure.
Che la storia assicura sono sempre l’incrocio di tante riflessioni.
(da L’Altopiano, 2 marzo 2013)
In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e vive nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai. E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.
(Benedetto XVI, Udienza Generale, 27 febbraio 2013, www.avvenire.it)