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Sono ore che se ne sta accartocciato in una strada di Napoli-centro. Per terra, a giocare coi colori, coi gessetti: Gennaro è un madonnaro, discendente-appartenente ad una genìa variopinta che dipinge opere che hanno la durata di un lampo. Artista di strada, con un selciato sconnesso come tavolozza, per tavola un marciapiede lurido. Tener desta la meraviglia è una sorta d’innata vocazione laica: «La dignità dell’artista sta nel suo dovere di tener vivo il senso di meraviglia del mondo» (G. K. Chesterton). Pare valga anche per lui la vecchia legge del pittore: sogna di dipingere, per poi dipingere il suo sogno. Sta dipingendo la Madonna di Antonello da Messina: quella col volto tutt’intento a leggere. Nessun lavoro, nessuna traccia di preghiera come si era soliti dipingere in quel volto abitato dall’arte. O, forse, tutto il lavoro, con tutta la preghiera possibile, giacché è intenta a leggere, cioè a lavorare con la mente aperta all’ascolto di ciò che viene da fuori, da dentro la sua esistenza. E’ dal XIII^ secolo che i pittori la dipingono così.
Dipingerla è dipingersi. Farlo per terra, da per terra, da inginocchiati, è come (ri)specchiarsi nella sua storia, una storia di accorciamento delle distanze tra il Cielo e la Terra. “Ci ho impiegato dieci ore a fare questo dipinto, per me è come un parto dipingere la Madonna” mi racconta il madonnaro. Tutt’intento nella sua pittura, mentre la gente l’accarezza, lambisce la sua immagine con la punta della scarpa, il cenno di un sorriso, la leggiadria di un complimento. C’è chi, viaggiatore, ferma il suo andare, chi lo ignora, chi calpesta i bordi estremi di quella Signora nata per stare sulla strada. Il salotto di Maria è la strada: nata per stare sulla strada – dopo il Figlio è la Madre ad aver macinato più chilometri di tutti per le strade dei Vangeli – gli uomini di chiesa l’hanno ficcata dentro i capitelli, blindata in vetri antiproiettile, imbonita con petali e corone sulla testa. Il madonnaro la riporta nel suo habitat, la strada: nel rione popolare, nel vociare confuso della gente, nelle strade, tra le piazze. Una vecchia signora, un’ottantina di primavere sul volto, poggia le borse della spesa, tenta d’inginocchiarsi, allunga la mano su quegli occhi dipinti e si fa il segno della croce. Poi s’alza, riprende la spesa, prosegue la sua marcia. “La gente va tutta di fretta, abbiamo bisogno di disegnare immagini che si possano riconoscere con un’occhiata” dicono i veri-madonnari. Maria è riconoscibile: la si nota in fretta, fretta che coglie di sorpresa. Non è mai stanca di essere scritta e dipinta da uomini e donne di ogni tempo e latitudine: «Sarò di tutti ancora e per sempre, sono madre, non c’è fine al desiderio di essere figli» (Lei, M. Veladiano).
Maria, la Madonna azzurra di Antonello da Messina, è lì per terra, a disposizione degli sguardi viandanti, degli occhi fuggitivi. Noi, nel frattempo, siamo saliti sul terrazzo di casa di Gennaro. In lontananza la sagoma inquieta del Vesuvio, i paesi di Ercolano e Pompei, la memoria che s’accende. Mi racconta la sua storia, la sua devozione a Maria: “Maria, per me, è una preghiera disegnata. Mi ha permesso di fare il lavoro dei miei sogni”, ammette con la candidezza del fanciullo coi gessi in mano. Il suo unico discorso lungo su Maria è quel dipinto in strada. Quando usciamo, un acquazzone l’ha sbiadita. Il lavoro è perduto.
Lo guardo, mentre La guarda. Mi inquieta quel forte contrasto tra la preziosità del suo lavoro e la fragilità della strada, esposta alle intemperie: “Vale la pena dipingere dieci ore sapendo che bastano quattro gocce per cancellare tutto?” È la mia domanda, domanda da non-artista. “Guarda bene quella vecchietta seduta là sui gradini!” La guardo, è lei, quella del segno della croce di poco fa. Sulle sue labbra c’è un po’ dell’azzurro del gesso: facendosi il segno della croce, s’è sporcata la labbra. “È il mio guadagno, quel colore di gesso rimastole addosso. So che anche solo per un istante le ho regalato un frammento di bellezza”. Per un istante le ha fatto fare un’esperienza di bellezza. La guardo, sbiadita pur di meraviglia: «Ci regaliamo agli altri e non sappiamo cosa fanno di noi» (M. Veladiano). Il tempo impiegato a partorire bellezza non è mai perduto. C’è sempre, ad ogni angolo della strada, una donna col gesso sulle labbra: è promemoria d’essere stati importanti per lei.

AVEMARIA sito Marco 1

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