Nella IV Domenica d’Avvento, il mistero della croce irrompe nell’attesa natalizia. Nella nostra ormai iniziata corsa ai regali, tra mercatini natalizi e tentativi, a volte goffi, di conciliare il nostro dilettevole con l’utilità (magari recandoci presso mercatini solidali, il cui ricavato va a sostegno di qualche progetto verso i più bisognosi, che altrimenti rischiano di rimanere esclusi dalla festa!), mentre iniziamo a posizionare statuine e preparare alberi di Natale, la liturgia festiva ci sorprende con Parole che sono assolutamente deficitarie di sapore natalizio.
La location che accomuna la Prima Lettura ed il Vangelo è la città di Gerusalemme (anche se, nel Vangelo, significativamente, troviamo Gesù in cammino). Gerusalemme, per un ebreo, non è solo un simbolo. È qualcosa di più. È profezia, vaticino, speranza certa, visione dell’aspettativa nella realtà dei fatti. Anche oggi, martoriata da conflitti infiniti, minacciata dal terrorismo, militarizzata, Gerusalemme, contesa e assediata, promana un fascino senza pari, con le sue pietre ricche di storia, la sua suddivisione in quartieri etnici, il proliferare di mercatini vitali e colorati. Chiunque tu sia, cristiano, ebreo, musulmano od ateo: Gerusalemme non può che conquistarti per quel fascino ancestrale di città storica, ma sempre attuale, dal commercio vivace ed invadente, ma anche brulicante di intensa spiritualità. Gerusalemme interroga e confonde, attira e respinge, ma attrae in modo fatale chiunque, anche inavvedutamente, le si avvicina.
Dopo la catastrofe del 587, quando Gerusalemme fu distrutta completamente, si pensò che il “resto” si potesse trovare tra i deportati: solo con la purificazione ed il rigetto degli idoli, accettati in precedenza, essi avrebbero potuto salvarsi. Ancora oggi, questa Parola ci ridona speranza. Quando, guardandoci negli occhi, ci sembra che, non solo siamo “poco”, ma siamo anche “pochi”, è rassicurante pensare che Dio si prende cura anche dei resti, dei reduci, di quel che rimane di qualcosa di grande che, almeno ai nostri occhi, sembra non essere più tale. Ma, forse, agli occhi di Dio, non risulta così importante il numero (avendo scelto un popolo piccolo, come quello d’Israele e non avendolo rifiutato, neppure quando questo fu decimato ulteriormente da tante vicissitudini).
La “protezione”, ricordata nel versetto finale, del resto, è anche un particolare riferimento al baldacchino, chiamato “chuppà” che, ancora oggi, rappresenta un elemento essenziale per la celebrazione delle nozze. Può essere un telo o una copertura e richiama la tutela di Dio.
Diversi degli elementi citati sono attuali anche per noi oggi, in questo avvento. Mettersi in cammino, in un tempo forte come questo, è sempre il tentativo di fare un po’ più spazio a Dio: in casa, trovando un posto per il presepe, che mi ricordi che Dio, anche stavolta, accetta di nascere per me, di farsi come me, anche ; nelle nostre giornate, cercando di trovare un po’ di tempo, togliendolo ai nostri comodi, per leggere un brano della Scrittura, oppure recandoci in chiesa per un momento “tutto nostro” con Dio. Sono piccoli cambiamenti, ma possono servire a ricordarci che Dio è Dio-con-noi, presente nei meandri del nostro quotidiano, ci è accanto nella nostra ferialità, dalle lavatrici da fare ai figli da accompagnare, ai nostri anziani da accudire, nel tramonto della loro vita. Quel Dio che visitiamo nel Santissimo Sacramento, è lo stesso che ha scelto di abitare con noi, per poterci accompagnare nel nostro tempo di servizio, o di lavoro, così come in quello del divertimento.
La pagina di Vangelo che ci offre la liturgia, si situa anch’essa a Gerusalemme, tuttavia ci mostra un Gesù incamminato verso Gerusalemme, che è la meta finale del suo percorso terreno, di cui è ben consapevole. Notiamo infatti come, quasi a sottolinearne il piglio da leader, mentre i discepoli, recalcitranti, nel Vangelo lo invitano più volte a cambiare rotta, Gesù, invece «camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme» (Lc 19,28), nonostante ben conoscesse cosa lo attendesse.
Il brano che segue, che abitualmente leggiamo la Domenica delle Palme, ci racconta di come Gesù illustri ai discepoli dove avrebbero trovato il puledro, di cui Gesù si sarebbe servito per il proprio ingresso trionfale nella città e cosa raccomandi, affinché sia concesso loro tale “prestito”.
Sembra quasi stonato tale richiamo così evidente alla Settimana Santa, nel pieno dell’Avvento: invece, oltre al tema del cammino, che. come Gesù, intraprendono anche i pastori e, a maggior ragione, i magi venuti dall’Oriente, ci viene incontro un’esclamazione che ci fa tuffare già in clima natalizio.
«Benedetto colui che viene, / il re, nel nome del Signore. / Pace in cielo / e gloria nel più alto dei cieli!» (Lc 19,38)
Questo dicono di Gesù, stendendo i mantelli. A pochi passi dal luogo dove troverà la morte.
È anche l’acclamazione degli angeli, di fronte al Santo Bambino, ma la ritroviamo anche nell’Apocalisse. Ne viene un invito alla fedeltà, affinché il nostro rapporto con Dio non si risolva in un baratto commerciale, nel quale il mio atto di culto è subordinato alla ricezione di qualche favore. I favori che chiediamo a Dio, sono, già per etimologia, “grazie”: doni gratuiti. Non chiedono contraccambio e, al contempo, ci invitano a coltivare, anche tra noi, la gratuità.
Possiamo vedere anche noi, in questo cammino d’Avvento, i “germogli” che Dio mette sul nostro cammino,come segni di speranza che il Regno di Dio è vicino, anche quando i segni dell’oscurità sembrano prevalere e nasconderli.
Riferimento – Letture festive ambrosiane, nella IV Domenica di Avvento, Ciclo C:Is 4,2-5; Sal 23; Eb 2,5-15; Lc 19,28-38
Fonte: Parole Nuove, Qumran, don Raffaello Ciccone
Fonte immagine: foto di Franco Corrà