Il rapporto genitori-figli, si sa, è una delle cose più complicate dell’intero universo, oserei dire più della fisica quantistica. Non c’è un manuale di istruzioni per l’uso, non si possono copia-incollare le iniziative che altri adottano, non esiste nessun pulsante magico per cambiare le carte in tavola e ricominciare da capo come in un gioco a premi. A volte è come stare sulle montagne russe, con un’altalenarsi di salite e discese da cuore in gola, specie durante l’adolescenza, quando la quotidianità è un tiro alla fune tra amore ed odio, quando, da figli, vorremmo l’appoggio dei nostri genitori ma guai a riceverlo in pubblico davanti ai nostri amici. Quando vogliamo sentirci grandi ma ci sentiamo trattati da piccoli. Quando sgomitiamo per trovare la nostra strada, ma ci vengono messi di fronte mille e più segnali stradali che tutto ci sembrano meno che un aiuto da parte degli adulti.
Il rapporto tra Dio Padre ed i suoi figli talvolta non è da meno.
Ce ne accorgiamo ogni domenica, quando, ascoltando la Prima Lettura, con brani dall’Antico Testamento e poi il Vangelo, ci facciamo più o meno sempre questa domanda: ma siamo sicuri che sia lo stesso Dio?
Da un lato il Dio che chiede sacrifici, che comanda a questo o quello di prendere armi e bagagli e di partire per una mèta sconosciuta. Dall’altro il Dio che chiede solo Misericordia, che invita ad amare i nemici, che lascia questo o quello liberi di seguirlo o meno per la sua strada.
Anche qui, anche oggi, seppur con qualche differenza.
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». (Es 3,1-15)
Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». (Lc 13,1-9)
Ma è davvero lo stesso Dio?
Da un lato il Dio Io-Ci-Sono. Il suo nome è una promessa d’eterno presente nella vita di ognuno di noi. Una dichiarazione di genitorialità perenne, ma anche una raccomandazione: “se tutti ti abbandoneranno, io non lo farò mai”.
Dall’altro un Dio che fa quasi paura: convertitevi, o perirete come quegli altri. Alla faccia della Misericordia, ci verrebbe da dire.
Forse è proprio qui, in questo preciso accostamento, che emerge, più che da ogni altra parte, quanto Dio sia un genitore, oltre che Fratello ed Amico.
In quest’alternanza tra “Io Sono con te” e “Io so cosa è meglio per te”.
L’abbraccio senza fine che la Misericordia ha inciso nel proprio nome sacro non è il contrario di quell’ammonimento a convertirsi, né tantomeno è l’eventuale premio. È invece il punto di partenza e quello finale, affinché ogni figlio si senta circondato d’amore.
Se fai questo allora ti vorrò bene e mi farai felice, dice il pessimo genitore, che tratta l’amore come uno scambio di favori.
Siccome ti amo come figlio e sono felice di volerti bene, ti dico di fare questo, perché è il meglio che tu possa mai avere, dice Io-Sono la Misericordia. E, se nella tua libertà di figlio deciderai di dirmi di no, farò come quel vignaiolo: un surplus di tempo ed amore, affinché tu ti accorga che Io-Sono-Sempre-Con-Te.
Immagine: don Giovanni Berti