La rabbia e il sogno: dietro ogni rivoluzione – sia essa grandissima o di modeste dimensioni – c’è sempre un miscuglio di questi due ingredienti che conduce all’azione. Un po’ quello che nascose Steve Jobs nella celebre domanda rivolta all’amministratore delegato di PepCo: “Vuoi continuare a vendere acqua zuccherata tutta la vita oppure vuoi avere la possibilità di cambiare il mondo?”. C’è chi al mondo s’accontenta di vendere acqua zuccherata: le possibilità per lui non mancano di certo, visto che l’abitudine è un ottimo biglietto da visita per vivere una vita da gregario. C’è anche, però, chi il mondo sogna di cambiarlo, o perlomeno di avere la possibilità di farlo: per costoro la rabbia e il sogno somiglieranno a due scialuppe di salvataggio per non lasciarsi coinvolgere in questo turpe tentativo di omologazione di massa in atto. Nel pensiero e nell’immaginazione, prima di tutto.

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Muhammar Gheddafi alla fine s’era davvero convinto che l’uomo libico somigliasse ad un “fermo immagine”: incapace di agire, ossequioso alla dittatura, aggrappato come un’ostrica sullo scoglio al potere di un dittatore-assassino che per oltre quattro decenni ha tarpato le ali alla speranza della sua gente. Raccontano che Gheddafi sia morto urlando: “Non sparate, per favore!”. L’hanno trovato nascosto in un tubo delle fognature, baluardo ultimo di chi dell’oro e della ricchezza aveva fatto il suo più accreditato biglietto da visita: cosicchè potremmo davvero dire (dopo l’ennesima dimostrazione della storia) che non solo uno può nascere in un pollaio e diventare un bellissimo cigno come Brahms, Steve Jobs, Leonardo da Vinci ma anche il suo esatto contrario, cioè che l’uomo può nascere in una grande reggia e morire come un animale da cortile. Chissà se tra odore di feci, previsione di morte e tremolio sul volto quell’essere criminale avrà pensato che il tutto è successo grazie alla rabbia e ai sogni della sua gente, di quella gente che aveva inebetito fino a convincersi che La Mecca era solo un simbolo, ma il vero Dio da adorare era solo lui.
Invece stavolta la ribellione è nata proprio là, sulle ceneri di quello che lui ha tentato in tutti i modi di anestetizzare col suo potere di faraone. La rabbia nascosta di chi, capitalizzando le umiliazioni – ha scoperto il tranello della bugia, del ricatto, della soppressione e delle fosse comuni. La rabbia di un popolo che s’è visto promettere il futuro al prezzo altissimo d’accettare d’essere schiavo del suo presente. Così ciò che per decenni ha funzionato, un giorno s’è inceppato e ha dato inizio alla ribellione del pensiero, alla forza dell’azione e alla gioia della conquista. Rafforzati da una nuova capacità di sognare ch’è riapparsa nella generazione giovane: costretta alla battaglia – pure Dio s’ingegnò dieci piaghe per cancellare il potere nell’antico Egitto – per proteggere la sua capacità di immaginare un modo nuovo di essere stato, di vivere la libertà, di accendere il pensiero.
E’ costata cara la svista di considerare il suo popolo un “fermo immagine” a Gheddafi. Lui che considerava l’Italia come il parco giochi di Eurodisneyland, che bloccava il traffico per far vedere il sedere delle sue amate amazzoni, che si faceva riempire i teatri per fare proselitismo religioso; lui che tutto poteva ciò che voleva l’hanno trovato piagnucolante e impaurito come un bambino che, smascherato nel gioco del nascondino, implorava di non essere preso. S’era davvero convinto che la vita fosse un gioco quest’uomo. Un gioco che stavolta gli ha fatto comparire sullo schermo del suo telefonino la scritta “game over”.

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