Una frase di Bertrand Russell, noto filosofo e matematico vissuto a cavallo del diciannovesimo e del ventesimo secolo, recita così: “vi sono due maniere di scrivere sul futuro: una scientifica ed un’altra utopistica”
Pensare al futuro fa parte di noi. Fin dall’infanzia siamo immersi nella “problematica” di ciò che verrà, grazie anche a nonni e amici di famiglia che si ostinano a chiedere a dei bambini di cinque anni le loro idee riguardo il lavoro che vorranno fare e chi vorranno diventare, senza magari rendersi conto che l’opinione di una persona così piccola non potrà diversificarsi molto da ciò che vede nei cartoni animati o legge nelle fiabe, e che quindi, la risposta data sarà piuttosto improbabile e utopistica.
Già, utopistica, perché il finale “e vissero felici e contenti” e “tutto è bene quel che finisce bene”, raramente nel mondo reale accade, ed è per questo che definirei tale la risposta dei bambini, che sicuramente si immaginano futuri radiosi e affascinanti, ma che per una buona percentuale non si realizzeranno e ti costringeranno a tornare con i piedi per terra; ma siamo sicuri che le idee che avevamo da piccoli qualcuno non le coltivi e sogni ancora da adulto?
Diventare astronauti, trovare lavoro come guardie forestali per salvare gli animali in pericolo, diventare calciatore o governare uno stato per rendere il mondo migliore; sono queste alcune idee che normalmente passano nelle giovani menti dei bambini, ma, salvo rari casi, sono destinate a non avverarsi. La conseguenza di tutto ciò è che ci si ritrova a realizzare che forse l’accademia per astronauti è troppo dispendiosa, che per giocare in serie A non basta l’impegno, o che per diventare presidente degli Stati Uniti c’è bisogno di qualcosa in più che sognarlo, e quindi inizia così la visione scientifica del proprio futuro. Una visione basata su dati e situazioni che gli anni ci hanno posto davanti, che ci obbligano ad affrontare realisticamente i fatti, che ci fanno capire che la vita non è una gita di piacere in cui tutto è possibile, ma che è un’avventura fatta di sconfitte e vittorie, di gioie e di dolori, e che la perfezione delle fiabe è solo un’illusione; un’illusione, che però, vale la pena di provare a raggiungere.
I grandi ideali di Gandhi, Madre Teresa di Calcutta e Mandela, ma anche i sogni di gloria di Giulio Cesare o Alessandro Magno sono ciò che hanno reso la loro vita talmente affascinante da essere tramandata ai posteri; i loro obiettivi, non a torto, possono essere considerati impossibili, un’utopia, ma nelle loro gesta, qualcosa che colpisca il cuore degli uomini in maniera indelebile dovrà pur esserci stato, altrimenti la loro memoria si sarebbe limitata solo a coloro che li hanno incontrati e conosciuti personalmente.
La vita dei grandi personaggi come Gandhi, Madre Teresa e Mandela, è stata complicata: hanno vissuto circondati da situazioni gravissime, ma non per questo si sono lasciati abbattere. La loro esistenza è stata portata avanti con semplicità, ma avendo un obiettivo; un sogno da realizzare che ha dato loro la forza di andare avanti, nonostante le loro gesta, in quanto molto complicate, si potrebbero definire una lotta persa in partenza: chi, infatti, crede talmente tanto nella pace da dedicare la propria esistenza ad essa? Chi pensa che aiutare il prossimo sia tutto ciò che conta o che la convivenza tra razze stia alla base della società, tanto da essere in grado di dimenticare gli anni trascorsi in prigione e perdonare i propri aguzzini?
Al giorno d’oggi, chiunque dicesse di avere tali idee verrebbe visto con simpatia, ma anche come un illuso; nella nostra società siamo abituati a considerare le cose metodicamente, valutando i rischi e il guadagno personale, e quindi tutto ciò che è al di fuori degli schemi viene purtroppo sottovalutato, nonostante talvolta potrebbe essere realizzato, sicuramente con fatica, ma anche con molta soddisfazione.
Con l’avanzare di questo pensiero pragmatico c’è il pericolo di appiattire le proprie vite; si cerca di evitare ogni rischio e azione che porti a una fatica invece che a un immediato guadagno, ma di questo passo la nostra esistenza si trasformerà in una sopravvivenza, e la nostra vita non potrà più definirsi tale.
Vivere significa affrontare l’avventura, significa gioire e piangere, mentre sopravvivere significa avere paura della propria ombra, significa rinunciare ai propri sogni ed essere tali e quali ad un animale, che per paura si rinchiude nella sua tana evitando così i pericoli, ma perdendo anche tutto il bello della vita; e questo, sarebbe il modo migliore per sprecare il dono che ci è stato dato, uno spreco che nessuno al mondo può permettersi.
Nella vita bisogna trovare un equilibrio: chiaramente è inutile rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere, e quindi è importante non fantasticare esageratamente e affrontare il mondo con una visione scientifica, cioè legata alla realtà, in modo da non illudersi; ma non bisogna nemmeno venire schiacciati dall’evidenza delle difficili situazioni che esistono, ed è per questo che, oltre alla visione più concreta, vi è bisogno anche di una utopistica; vi è bisogno di un obiettivo che possa migliorare la nostra vita e quella degli altri, perché se abbiamo lo scopo di lottare per un ideale che magari non raggiungeremo mai, ma che potrebbe migliorare l’umanità, il mondo, o anche solo la nostra esistenza su questa terra, allora anche il viaggio che si compie per raggiungerlo è esso stesso un miglioramento che renderebbe una vita degna di questo nome, per la quale valga davvero vivere.