Fuori, dalla nostra vita. Fuori, dal lavoro. Fuori dallo Stato, in nome della laicità. Oggi, come ieri.
Non si tratta di un’invettiva della serie “O tempora, o mores”, quanto, al massimo, di una constatazione amichevole che non c’è “niente di nuovo sotto il sole”.
Qualcuno si ostina a vedere quest’epoca come peggiore di altre, perché pronta a strizzare l’occhio quando non a incoraggiare il dilagare del Male. Non che non sia vero (probabilmente lo è), ma credo sia più evidente la percezione che noi abbiamo di questo fenomeno, rispetto alla sua effettiva portata, dettata dalla sua realtà.
Nella nostra epoca viviamo, infatti, il fenomeno dell’amplificazione della comunicazione: chiamarla solo comunicazione di massa, rimarrebbe una definizione riduttiva della reale portata dell’attuale livello d’informazione. Riguardo al livello di criminalità diffusa, può darsi che la spersonalizzazione delle nostre città possa portare ad un maggiormente percepito senso di disagio, precarietà ed insicurezza, così come la diffusione stessa di una tecnologia in grado di consentire una comunicazione invasiva quanto mai potranno magari alimentare determinati reati. Ritengo tuttavia non siano questi i cambiamenti principali avvenuti: è soprattutto la possibilità di venire a conoscenza del Male, fino a lambire il confine con una necessità di cronaca morbosa e in un certo senso inutile: perché sottolineare la brutalità di una violenza sessuale o analizzare l’efferatezza di un delitto non è d’aiuto né a vittime, né a carnefici, rischiando – anzi – di produrre nefaste tragedie d’imitazione.
Ma il cuore dell’uomo è sempre lo stesso, nei secoli. Orgoglioso, tenace, testardo. Desideroso d’amare e d’essere amato, ma tanto impacciato e bisognoso d’aiuto e d’incoraggiamento.
Quanto amore vorremo dare e manifestare, ma quanto pallide e ridicole finiscono con l’essere a volte le nostre manifestazioni, fino ad essere fraintese e malintese, fino a capovolgere un gesto d’attenzione in un gesto d’egoismo (quindi una falsa attenzione)!
Dio sa tutto questo, per cui, dall’inizio della storia, si è sempre fatto incontro a lui, ben conoscendo quanto gli è difficile chiedere scusa, ringraziare, ammettere di avere torto o di aver bisogno d’aiuto.
Per questo, gli è venuto incontro, facendosi Lui bisogno d’aiuto, d’attenzione, di cura, di protezione. Si è presentato come un bambino dentro una giovane donna, a complicare una già complicata vita di coppia, a sparigliare le carte dell’esistenza di una piccola cittadina di nome Nazareth.
Già la Sua nascita è un imprevisto: partiti per un lungo viaggio, per adempiere ad un dovere burocratico (tanto per cambiare), i due sono sorpresi dall’arrivo del bimbo–Dio.
Ma non c’è posto per Lui, né per loro. Fuori. Fuori dalla città. L’imprevisto non trova posto nelle tabelle di marcia, nelle decisioni già prese, negli alberghi troppo pieni, nelle settimane superimpegnate. Ecco che il Figlio dell’Uomo nasce al di fuori della città, allontanato dal centro e spinto nelle periferie, dove la vita è più dura, o quanto meno più complessa, dove le intemperie si fanno sentire, il vento soffia più forte e fa rabbrividire, dove il tuo spazio te lo devi conquistare “un centimetro alla volta”. Chi è cresciuto per strada, lo sa. Niente è scontato. Da quando nasci, impari che qualunque cosa tu voglia ottenere, te la dovrai conquistare, lottando con tutte le tue forze. Ma può un bambino, da solo, farsi spazio, così piccolo, in un mondo ostile? O: potranno i suoi genitori difenderlo da chi potrà fargli del male, almeno finché non riesca a difendersi da solo?
Passa poco tempo e nemmeno Betlemme di Giudea risulta un posto accogliente per la sua crescita, tanto che i tre si ritrovano costretti a fuggire in Egitto, lasciandosi alle spalle la scia di sangue di tanti martiri innocenti, monito eterno di ciò a cui può portare la follia umana, quando è accecata, nella ricerca del dominio, del successo e del potere ad ogni costo. Citata dal profeta Michea quale la più piccola della terra di Giuda, riceverà imperitura memoria, proprio per avere dato i natali al Figlio di Dio. Nel più piccolo paese conosciuto in terra di Giudea.
Viene poi Nazareth, ben lungi dall’essere capitale, luogo che lo vede crescere, nel nascondimento della sua vita familiare e lavorativa, nella bottega del padre. Come qualunque altro figlio di carpentieri, cresciuto fanciullo tra i trucioli di legno e divenuto uomo con la pialla in mano. Abituato alla fatica e capace di comprendere il valore del lavoro e dell’ingegno artigiano che si annida dietro una buona aggiustatura o un buon pezzo del mobilio.
Infine Gerusalemme, centro religioso e politico, che guarda a lui con disprezzo, tanto che la sua avventura terrena si conclude al di fuori delle mura, come previsto per i fuori legge e le altre persone poco raccomandabili. Quelle di cui si è fatto fratello durante l’intero arco della sua esistenza, spesso causando lo scandalo di tanti suoi conterranei e compaesani.
Lontano dai centri di potere, dagli intrighi di palazzo, religiosi o politici. Vicino ai briganti, ai pastori, alla povera gente, ai signori nessuno della storia. Quelli a cui forse nessuno – non fosse per lui – avrebbe mai fatto caso. Quei ‘piccoli’ della storia che però erano – e sono – grandi, al cospetto e agli occhi di Dio: perché, ai suoi occhi, nessuno è insignificante, ma ogni uomo ha un valore inestimabile.
Proprio in virtù di questo, Dio stesso ha scelto di abitare le periferie per riportare tutti al centro. Nonostante il Suo cuore non conosca periferia né centro: per Lui siamo miliardi di figli unici, a cui dona tutta la Sua attenzione e la Sua cura!