Ero poco più che bambino trent’anni fa: ricordo la spiaggia, l’ombrellone, il silenzio che scese tutt’attorno a noi quando, dalla radio, si sparse la voce che il giudice Paolo Borsellino era appena stato ucciso. I rumori divennero mormorii e le voci umane cedettero lo spazio a quelle radiofoniche. Lì per lì non mi riuscì di capire il perchè di quel repentino cambio di umore della gente. Una cosa, però, mi parve di intuire, non ricordo nemmeno bene il perchè: mi sembrava, mentre con la nonna risalivamo dalla spiaggia verso la casa, che si stesse celebrando il funerale di un qualcosa che riguardava anche me. Una sorta di esequie estiva della speranza italiana. Ero (ancora) piccolo, ma in qualche maniera mi riuscì di capire che, d’allora, non sarebbe più stata la stessa la mia nazione. A maggio di quell’anno, la mafia aveva trucidato bestialmente il giudice Giovanni Falcone; a settembre dell’anno successivo, il 1993, la “tripletta” si concluse con l’uccisione di padre Pino Puglisi. Tre colpi di (di)sgrazia inferti al cuore della mia nazione.
Oggi ricorre il trentennale della strage di via D’Amelio: suoneranno le trombe e si innalzeranno i peana funebri nei confronti di quest’uomo così dritto da rifiutarsi di vivere comodamente in un mondo storto. Son trent’anni che, ogni anno, si ripete questa “liturgia della colpa da espiare” nei suoi confronti, nei loro confronti. Quasi una forma di restituzione – fuori tempo massimo – del fatto che, da vivi, vennero lasciati soli, abbandonati da quello Stato che, oggi, ne tesse le lodi. È un pò la sorte miserabile che tocca ai santi, a qualunque religione o fede appartengano: osteggiati, diffamati e derisi mentre sono in vita, appena la morte li coglie – soprattutto se violenta e ingestibile – diventano degli eroi attraverso il ricordo di chi li ha bersagliati o, tutt’al più, ignorati. «Uno stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro» – ha detto Fiammetta, la figlia di Borsellino, annunciando che, quest’anno, nessuno della sua famiglia parteciperà alla cerimonia – «Dopo trent’anni di depistaggi e tradimenti non ci rassegniamo, continueremo a batterci perchè sia fatta verità sull’uccisione di nostro padre». Parole secche, decise, al netto di qualsiasi fraintendimento.
Chi ama la verità sa bene che c’è un solo modo per procurarsi nemici, che è quello d’andare contro alle tendenze del mondo. Per ognuno che ci proverà, a qualsiasi categoria appartenga, è già predisposta una macchina del fango che è pronta ad accendersi non appena le sue parole infiammeranno la terra. Per poi, da morto, trasformare quel fango in un’ode. Tanto imbarazzante quanto ignobile.
(da “Specchio” de La Stampa, 17 luglio 2022)