fuga-dei-cervelliIn contemporanea con l’annuncio della disoccupazione giovanile al 42% (si sfiora cioè il dato di un giovane disoccupato su due!), si moltiplicano i risultati positivi dei tanti “cervelli” italiani che hanno scelto l’estero per fare fortuna, molti dei quali sono diventati un riferimento nel campo della medicina (ricercatori, scienziati oppure chirurghi).
È molto più di un luogo comune, si tratta ormai di un dato di fatto: tanti giovani italiani che si sono visti chiudere tante porte in faccia in Italia, sono riusciti a fare carriera all’estero, superando la concorrenza dei colleghi autoctoni, con tutte le complicazioni del caso a loro carico (prima fra tutte, la necessità di imparare a psdroneggiare con sufficiente dimestichezza una lingua che non è la loro lingua madre, al contrario di quanto è per i colleghi del posto e potenziali “rivali” per l’acquisizione dell’agognato posto di lavoro). Se dunque i laureati riescono ad avere rilievo all’estero, dove la meritocrazia è generalmente più riconosciuta che in Italia, viene da pensare che non manchino di valore, spirito d’iniziativa, abnegazione, come qualcuno asserisce (o: vuole convincerci?) al riguardo.
Forse una prima risposta arriva dall’incapacità formativa della scuola, troppo spesso un luogo adibito ad inculcare nozioni, come se si trattasse di “sacchi da riempire” e non di “fuochi da accendere”; immagine molto eloquente per descrivere una certa mentalità, talvolta prevalente, che vede l’educazione non come “questione del cuore e cura integrale per la persona”, ma unicamente come trasmissione a senso unico di conoscenze. Visione (per altro) non errata, tuttavia certamente riduttiva rispetto all’effettiva potenzialità dell’istruzione, dall’elementare fino alla superiore.
Questa mentalità è forse uno dei motivi principali che tende ad allontanare la scuola dall’esperienza lavorativa, nella quale, volenti o nolenti, se l’esperienza è una ricchezza inestimabile, la freschezza è garanzia di libertà d’iniziativa e voglia di sperimentare: motivo per il quale, anche di fronte ad un rapporto apparentemente “verticale” superiore – subordinato, l’apprendimento non si rivela mai completamente a senso unico, ma, se c’è disponibilità da ambo le parti, l’arricchimento è sempre reciproco.
Se c’è un elemento comune tra università e mondo del lavoro, questo è la gerontocrazia imperante che, dall’università raggiunge gli ospedali, ma spesso anche aziende e fabbriche. L’apprendistato, che non è mancato persino a grandi artisti come Giotto o Leonardo (e che dovrebbe essere indispensabile in ogni campo), è oggi, quanto mai, latitante. La proposta che va per la maggiore è lo stage gratuito, da offrire al neodiplomato o neolaureato, per la durata generalmente di sei mesi o poco più, nei quali è sfruttato nelle mansioni più umili, ma, soprattutto scarsamente professionalizzanti, fino all’epilogo più scontato: il licenziamento dello stesso, alla fine di tale periodo, in favore di un altro “pollo” da spremere a piacimento, vale a dire un altro neolaureato o neodiplomato che accetta condizioni lavorative poco valorizzanti, seguendo la chimera che gli fa sperare in un avvenire migliroato dall’avere questa esperienza in più.

Inutile dire che, spesso, non è affatto così. Di sfruttamento in sfruttamento, il rischio palpabile, per tanti giovani è quello di accumulare una montagna di esperienze pressoché vane di stage gratuiti o semigratuiti in cui l’attività maggiormente formativa e qualificante si rivela il fare fotocopie per un non ben precisato superiore…
Esemplificativa la vicenda del chirurgo trentaquattrenne, che ha trovato in Inghilterra ciò che non è riuscito a trovare in Italia. Sopratutto grazie a quel lateral thinking tanto straniero in Italia, dove in medicina più che in altri campi, si fa pesare l’età, a discapito della ricchezza del lavoro in team e del confronto tra competenze tra loro diverse, nel raggiungimento di un medesimo obiettivo (nel caso specifico, dovrebbe essere una buona diagnosi, atta a ristabilire la salute del paziente).
L’incapacità di consentire ai giovane di sperimentare in prima persona, di prendersi le proprie responsabilità avviene nel lavoro come specchio di una società che tenta furiosamente di deresponsabilizzarli, nel malcelato tentativo di esercitare su di loro un controllo perpetuo. Perché questo significa, in definitiva, impedire loro libera iniziativa, con le annesse responsabilità del caso.
Naturalmente, sarebbe riduttivo pensare che le colpe siano da imputare, solo ed esclusivamente alla cosiddetta “vecchia classe dirigente”. Appunto perché è giusto e doveroso che tutti e ciascuno giovani compresi, si prendano le proprie responsabilità e abbiano il coraggio dell’iniziativa indipendente e di buon senso, nessuno può permettersi di rassegnarsi allo “stato delle cose” e, sorofondando sul divano, s’aspetti che qualcuno (qualche istituzione o chissà che altro) cali dall’alto le soluzioni ai problemi attuali. Del resto, mi domando: se proprio le istituzioni precostitutite sono, tanto spesso, la fonte principale dei guai attuali, potrà mai venire da loro la soluzione a ciò? Personalmente ne dubito.
Quali le soluzioni, allora? Espatriare potrebbe essere una, ma non certo la sola possibile. Formarsi in autonomia, valorizzare l’inventiva e la creatività.
La crisi non può e non deve essere solamente un motivo di abbattimento, ma deve (è necessario, per non finirne schiacciati!) diventare occasione propizia per trarre da ciascuno di noi quel «meglio» che la facilità del “vivere bene senza fatica” tende a mantenere celata, abituandoci ad avere ogni nostra “voglia” soddisfatta, senza bisogno di fare alcun sacrificio.
Non esiste mai una sola strada. Tante sono le difficoltà che affrontiamo quotidianamente e pochi quelli in grado di darci una mano. Ma magari potremmo essere noi i primi a poterlo fare, se riusciamo a credere che, se non ci arrendiamo di fronte alle avversità, potremmo scoprire nuove possibilità, per noi e per gli altri.


Fonti:
Borse di studio Ue ai ricercatori italiani, ma la metà di loro è all’estero (Fanpage)
Fuga cervelli, scuola e lavoro in Italia? Mondi separati. E chi se ne va non torna (Il fatto quotidiano)
Giulia Biffi, ricercatrice in UK, scopre la quadrupla elica del DNA (Blitz)
Chirurgo in Uk, in Italia sarebbe precario (Il fatto quotidiano)

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