Barcellona, come Turku. Come Parigi. Come Madrid. Come Londra. Come Nizza. Come Ouagadougou.
A leggere i racconti di chi è sopravvissuto, a colpire è un dettaglio-di-somiglianza. Proprio nei momenti più bui, quando la violenza più cieca e brutale sembra aver obnubilato ogni possibilità di speranza, è possibile il piccolo grande miracolo della fiducia: la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda… di accendere la luce (J.K. Rowling).
E sono spiragli di luce, a fendere l’oscurità, quelle mani tese, nel panico generato dalla paura di un furgone a tutta velocità su una folla inerme. Sono spiragli di luce porte che si aprono, bicchieri d’acqua regalati dai ristoratori o corse gratuite offerte dai tassisti.
Prima le donne e i bambini; prima i più deboli, da proteggere. Di fronte alla sciagura più folle anche l’Occidente, nichilista e materialista, ritrova le priorità e riesce a fuoriuscire dalla jungla eugenetica in cui qualche cervello vuole dirigerlo a forza.
Così a morire sono, spesso, i più forti, i più giovani, in un impeto di inusitato (magari, anche per gli stessi protagonisti) eroismo, concludendo una vita, magari mediocre, con un ultimo, disperato, gesto di generosità, nei confronti di figli, amici, fidanzate, mogli, financo sconosciuti. Perché a volte, di fronte alla morte, avvengono mutazioni che sorprendono anche i diretti interessati, che non avrebbero mai potuto preventivare di agire in quel modo.
Con la morte nel cuore e dipinta sul volto, mani si aprono, gesti di solidarietà prendono forma quando t’aspetteresti che sia alimentato il sospetto e la paura e, nel dubbio, si preferisca pensare solo a sé. Invece no: a dispetto di ciò che verrebbe da pensare, avviene proprio l’opposto.
Sono semi di bellezza, seminati in un terreno inesplicabile. Sono attimi di pace, in un mondo che pare aver smarrito il senso di questa vita.
Come fiori, spuntati in mezzo al cemento. A farsi largo nell’asfalto e a far capolino da chissà quale fessura, tra una colata e l’altra.
Ma chi lo dice che il fiore è nero (Nomadi)? Di notte, tutti i fiori ci sembrano neri. Ma la colpa non è del fiore. È la mancanza di luce a farci questo brutto scherzo. Abbiamo bisogno di luce, per scorgere la luminosità e la vivacità di tanti fiori dai mille colori, che popolano i nostri giardini, i nostri prati, ma – anche! – che sfidano i marciapiedi, fino ad averne ragione, pur di sbucare fuori a rallegrare ed ingentilire l’aspetto delle nostre grigie e caotiche città.
Di primo impatto, sembra quasi vuota retorica, ma poi ci sono fatti che sono lì, a testimonianza che non sono solo parole, ma opere concrete e reali. Che ci ricordano che davvero l’Amore può essere più forte anche della morte, oltrepassare anche quei limiti che paiono invalicabili alla ragionevolezza e al raziocinio.
Con Viterbo e la sua provincia, tutto il mondo della musica piange la scomparsa di Max Stendardi, rinomato batterista ed indomito guerriero, contro quel tumore che lo ha portato via troppo presto all’affetto della moglie Silvia e della figlia Stefania, oltre che dei suoi numerosi amici in tutt’Italia. Uomo dalla fede incrollabile, amante della vita e della musica, aveva saputo unire le sue passioni, diventando il batterista della band di don Giosy Cento e fondando una cover band dei Nomadi, dall’emblematico nome di Fiori Neri.
Questo nome, unito alla sua dipartita, proprio in questi giorni in cui il mondo sembra aver perso di vista la Bellezza della Vita, sembra un messaggio in codice di tenace speranza. Quasi a ricordarci che ci saranno sempre fiori colorati ad addolcire la vita, anche nelle tempeste più funeste. E, anche se non ne riusciamo a scorgere i colori sgargianti perché oppressi dal buio più fitto, ci basterà pur sempre avvicinarci per aspirarne il profumo soave, capace di allargarci il cuore.
Perché la Bellezza, anche se fragile, trova pur sempre il modo di farsi presente!
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