08 Aug 2017 Mount Rinjani Trekking 42 1024x589

Questa domenica, anche la Chiesa Ambrosiana vivrà la Giornata Missionaria, posticipata per via della Solennità della Dedicazione del Duomo di settimana scorsa.
Le letture proposte sono tutte di “ampio respiro”, invitandoci a spingerci, senza paura, al di là dell’abitudine che ci viene dalla nostra quotidianità e dai nostri stretti confini.
I primi cristiani, costretti dalle persecuzioni a lasciare Gerusalemme, diffondono nel resto del mondo la fede. L’apostolo Filippo, in particolare, è invitato da un angelo ad andare sulla strada tra Gerusalemme e Gaza, che ha un connotato particolare: “è deserta”. Sembra quasi una sorta di beffa, altro che un mandato missionario: invitato ad andare su una strada, che è deserta. Eppure, Filippo va. Cammina. Forse, anche a lungo: in realtà, non lo sappiamo. Sappiamo solo che, forse all’improvviso, attesa come acqua nel deserto, arriva l’occasione propizia. Un eunuco, funzionario del regno di Etiopia (quindi: non necessariamente etiope) faceva ritorno da Gerusalemme e, seduto sul carro, leggeva il profeta Isaia. Doveva essere profondamente intento nella lettura, se non se ne distoglie finché Filippo non corre innanzi al carro, attirandone l’attenzione! Stava leggendo il capitolo 53 del libro di Isaia, noto anche come il “canto del servo di Jahvé” e Filippo gli chiede se avesse capito quanto stava leggendo: è commovente questa premura che denota quasi l’assicurarsi di non interferire sul lavoro di qualcun altro, con cui, magari, era già entrato in contatto a Gerusalemme. L’eunuco nega tale eventualità, sottolineando: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?» (At 8,31) ed invitando l’apostolo a salire sul carro con lui.
Così inizia il dialogo tra i due: in modo semplice, informale, fin quasi ad essere infantile. Eppure, risulta oltremodo istruttivo come si configura questo incontro. Notiamo come vi siano stima e fiducia reciproche, a cui si aggiunge il coraggio e l’umiltà di chiedere e domandare aiuto, nella gratuità. Credo che dovremmo ispirarci a tutto questo, quando parliamo di solidarietà, per non correre il rischio di una carità appiccicosa ed esibizionista, in cui il dono è solo una cosa e non riesce a trasmettere quell’incontro tra persono che si fa veicolo d’annuncio della fede cristiana. Se non vedo il volto dell’altro e non lascio che mi “infastidisca” con il suo essere differente da me, anche quando doniamo qualcosa di nostro, rischiamo di limitarci a dare del nostro, senza dare noi stessi, ad imitazione di Cristo.
A fronte delle spiegazioni che riceve, il suo cuore e la sua mente si apre alla comprensione, tanto da richiedere il Battesimo, che innesta il credente in Cristo e nella Sua Chiesa. Nel finale, c’è poi la notazione più luminosa: mentre Filippo scompare alla sua vista, l’eunuco riprende il proprio cammino con gioia. C’è una riscoperta della gioia a cui siamo chiamati, che va oltre la sensazione del momento e necessita di inserirsi nella quotidianità, per non vivere la nostra vita in cerca di continui elettroshock spirituali. Ci possono essere esperienze spirituali più intense di altre, capaci di darci “nuova carica”. Ma non può risiedere in queste esperienze la nostra ferialità. La gioia dovrebbe essere la condizioni tipica del cristiano, memore di adorare un Crocifisso, che, però, è Risorto: è da questa certezza che proviene la gioia quotidiana che ci accompagna, in ogni istante della nostra vita, consapevoli di essere figli amati.

Nel piccolo passo della lettera a Timoteo, troviamo una raccomandazione, affinché si facciano «suppliche per tutti quelli che stanno al potere» (1Tim 2,2). Questa richiesta ci sembra, forse, di questi tempi, particolarmente stonata, per l’idea, generalmente negativa, che abbiamo della politica. Per Paolo, però, chi è al potere, chiunque esso sia, non è mai “un uomo solo al comando”, ma si tratta di una persona che è chiamata ad un servizio, per il bene di tutti. Non solo: sulla base della bontà (o meno) di questo servizio, sarà giudicata. L’amore per il prossimo, per chi sceglie questa strada, passa anche dall’efficienza con cui svolge un servizio che può diventare un modo per fare del bene.
A maggior ragione, è necessario che ciò avvenga all’interno delle comunità cristiane. I parroci o i priori non ne sono i tiranno, ma, al contrario, sono solo i responsabili ultimi della costruzione del Regno, a cui tutti siamo chiamati. Ciascuno, quindi, sia partecipe, come può, dove può, quando può. E chi ha ruoli di responsabilità abbia l’umiltà, non solo di accogliere, ma, anche e soprattutto, di incoraggiare chi può dare una mano, senza pensare che la condivisione del lavoro metta in discussione il loro ruolo: i veri leader sono in grado di motivare ciascuno al proprio lavoro, senza, però, sentirsi padreterni. Di quello ce n’è già uno, che – di certo – sa fare il proprio dovere!

A partire dall’Ascensione, durante la quale Gesù “passa il testimone” alla Sua Chiesa, i primi cristiani iniziano a viaggiare in tutto il mondo, affinché nessuno rimanga escluso dalla Buona Notizia che il Verbo, incarnato in Gesù, dopo aver patito sotto Ponzio Pilato, è morto ed è risorto il terzo. Questo il kerygma annunciato dai primi cristiani ai nuovi adepti.
Mi colpisce sempre l’ultimo passo del Vangelo (Mc 16,20). I discepoli partono, predicano. Ma non sono soli, perché il Signore agiva con loro. Mi viene da pensare che, a volte, noi rischiamo di dimenticarci tutto questo. Diciamo, facciamo, camminiamo, riempiamo le giornate di cose importanti, ma ci dimentichiamo di portare Dio con noi nelle fatiche quotidiane, relegando magari alla sola domenica un momento di “respiro”. Come se fosse possibile respirare “solo ogni tanto”! Se Cristo è Vita e Resurrezione, allora dovremmo ricercarne quotidianamente la compagnia, anche solo con un segno di croce ben fatto ogni mattino o un passo di Vangelo al giorno.
Perché, se non concediamo spazio a Dio, come possiamo annunciarLo?

 

Rif: letture ambrosiane festive della I domenica dopo la Dedicazione del Duomo (At 8,26 – 39; 1Tim 2, 1 – 5; Mc 16, 14b – 20 )


Fonte immagine: Nomadasaurus

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