peter_panL’immagine è emblematica: una parete nuda, bianchissima, con un vecchio chiodo a ricordo di una Croce che non c’è più. Grazie anche all’interpellanza dell’Italia che giorno dopo giorno sollazza e ride al chiarore dei pettegolezzi e dei gossip come una vecchia massaia che, ignara del trucco collaudato, si perde nelle adulazioni di un ladro che la compra mentre il suo compagno le sta svaligiando comodamente la casa. Eppure dietro quella Croce non c’è solo un credo: c’è una storia, il ricordo di una radice attraverso la quale è passata linfa, ci sono secoli di cultura, di pensiero e di riflessione. Ma forse questo, nell’era dell’integrazione e del politicamente corretto, fatica a trovare diritto di parola. E allora la Parola, quella crocifissa, accetta pure d’andare nello scantinato dell’umano pur di non forzare la libertà dei suoi aguzzini.
Ogni cultura vive dei suoi simboli, ogni epoca ha i suoi segni, ogni figlio ha un suo padre che, per quanto odiato, rimarrà stampato nell’albero genealogico della sua esistenza. Il segno ha la funzione d’interpellare, di richiamare, d’accendere, di scandalizzare qualora servisse. Di mostrare che la Risurrezione passa attraverso la Croce, quella croce che era scandalo per i giudei e stoltezza per il popolo pagano. Che disturbava, cioè, fin dal suo innalzarsi in quel primo Golgota cristiano.
Negare o non sapere ciò che è accaduto prima della nostra nascita era per il latino Cicerone una dichiarazione implicita del voler rimanere bambini a tutti i costi. Perchè quando la paternità chiede d’essere difesa, quasi sempre presenta il prezzo della derisione e della solitudine. A meno che non offra vantaggi superiori agli impegni dovuti. Così una croce diverrà occasione ghiotta per chi, vivendo e soccombendo di politica, si troverà ad ideare campagne elettorali, zuccherini da porgere OltreTevere, filastrocche da dimenticare a risultato raggiunto. O da mettere alla gogna di una democrazia che ama distinguere bene e male, opportuno e non opportuno in base alle mani alzate. Senza ascoltare una storia che chiede di non essere misconosciuta.
Quella parete nuda rimarrà il simbolo di un’integrazione difficile da gestire. E di un imperialismo culturale che ci sta costringendo a rinnegare e tradire i nostri padri. Il crollo dei totalitarismi politici è stato oscurato dalla costruzione di un potente totalitarismo culturale che ha destituito l’idea che esista qualcosa di separato, di sacro. L’intoccabilità della chiesa di un tempo non si può ripristinare: per fortuna per gli avanguardisti o purtroppo per i conservatori. Ma l’immunità culturale di cui gode oggi il conformismo neosecolarista, l’insieme delle mitologie e delle ideologie in cui si basa la pretesa di riformare o segregare il fatto cristiano fino a scardinarne il valore nello spazio pubblico, è una zona di frontiera nella quale il cristiano si trova a dover ballare coi lupi. E a riflettere se davvero il termine “integrazione” che tanto si agita nei palati chieda il misconoscimento della propria storia, la svendita totale dei suoi simboli, la cancellazione obbligata di una Croce che addita all’uomo il semplice ammonimento di non pensarsi immortale. Bensì vincente perchè perdente.
Ma forse anche tra il popolo che a voce proclama di seguire il Nazareno, le idee saranno confuse. Perchè il richiamo del martirio sui libri è suadente e sfiora la poetica, ma quando viene a contatto con la pelle brucia. Rimane la sottigliezza di quel margine che corre tra servitore fedele e servitore incapace.
Sopratutto in un’epoca che ha messo Dio “tra virgolette” togliendone la firma dai muri delle classi. Per affiggervi l’ennesimo poster didattico che parla del Teorema di Pitagora e del quadrato costruito sull’ipotenusa.

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