figli_di_chi_-_Copia«Lo sai che forse non è il mio vero papà? Perché la mamma non ha mai divorziato e quando io sono nato era ancora fidanzata con un altro…» parole che sgorgano, spontanee, dalla bocca di un bambino. E ti lasciano senza fiato, per quello che lasciano trasparire.

Ci sono bambini che fanno fatica a capire chi ringraziare, chi rispettare. Chi chiamare “mamma” e “papà”.

Subito – probabilmente – pensiamo  ai tanti orfani o bambini ospiti delle case famiglia o in affido o adottati. Purtroppo, il calcolo non si ferma solo a loro.

Non facciamo i benpensanti, apriamo un attimo gli occhi e scopriamo che sono tante, purtroppo, le situazioni che disorientano e producono incertezza nei più piccoli, ma anche nei più giovani. In tutti quei figli dell’incertezza e della superficialità che non sanno di chi sono figli, da chi sono nati e di che cosa fanno parte.

Vorrei andare oltre l’ideologia, oltre la morale, oltre ogni possibile regolamentazione. Anzi, in verità vorrei fermarmi prima. Provare a capire come queste cose siano viste dai bambini, che in qualche modo ne subiscono le indirette conseguenze. Il loro sguardo disincantato è sempre diverso dal nostro. Inutile dire che ho l’impressione, però che tale sguardo non sia preso in considerazione, a maggior ragione dai legislatori e da chi dovrebbe garantirne la tutela. Proprio per questo, vorrei almeno provare, una volta soltanto, a mettere al centro la loro visione delle cose e la loro sensibilità, i loro problemi, le loro preoccupazioni, le loro incertezze. Vorrei almeno fare un tentativo…pur goffo che sarà e troppo impregnato di mentalità adulta, così inadeguata a cogliere e valorizzare spunti, inquietudini e riflessioni troppo bambine perché siano prese. Eppure, se innanzitutto Cristo li additava a modello della capacità di accogliere un Regno che non era né di ricchi, né di potenti, mi viene da pensare che provare a immedesimarci nelle loro aspettative possa essere oltremodo utile e istruttivo.

 

La mancanza di certezze la associamo, in modo sbrigativo, ai bambini ospiti di qualche istituto, o affidati ai servizi sociale. Ma il disagio infantile, presente in modo massiccio anche se forse poco evidente, tra noi, è spesso latente tra i vicini di casa, i conoscenti, quando non gli amici. Il problema fondamentale è che nelle nostre beghe da grandi dimentichiamo che un bambino non potrà mai guardarlo con una prospettiva adulta, per cui lo interpreterà, affronterà con i suoi occhi bambini.

E, con semplicità e naturalezza, potrà uscirsene dicendo: «Sai, forse non è il mio vero papà… perché la mamma, quando aspettava me, era ancora fidanzata con un altro. E ancora adesso non è divorziata, quindi è come se fosse ancora sposata con lui».

Non mi chiedo neppure quale possa essere la risposta, mi fermo alla domanda, con l’urgenza che dimostra.

Questo terzo personaggio agli occhi del bambino è ancora presente, pienamente presente, anche se non fa parte della famiglia. Forse anche solo istintivamente, intuisce un qualche meccanismo che s’è inceppato, che gli rende oscura la comprensione della situazione.

Eppure questa affermazione è molto importante e significativa. Chi ammette di non sapere chi sia il proprio padre, ammette di non sapere quale sia la propria origine, da dove venga. In qualche modo, gli risulta difficile avere la risposta alla domanda esistenziale “da dove vengo?”. Gli mancano le radici, il punto di partenza. E se questo rappresenta una difficoltà in età infantile, rischia di diventare drammaticamente problematico nell’età adolescenziale.

Se già nell’infanzia l’autorità paterna è in qualche incerta e discussa, quanto potrà essere traballante nell’adolescenza, epoca in cui il ragazzo mette in discussione le sue certezze, per poter scoprire e affermare se stesso? Che cosa potrà mettere in discussione chi certezze non ne ha? Chi ha vissuto, da sempre, senza avere puntelli che segnalino il proprio passato, che è quello che fornisce informazioni sulla propria provenienza?

Penso alla semplice proposta (per ora!) della fecondazione eterologa, con ciò che comporta, in termini umani. Certamente, è più che comprensibile e umano il desiderio di maternità e paternità concretamente tangibili. Ma a quale prezzo? Per evidenti motivi, il donatore dovrà rimanere segreto. Giusto, dal suo punto di vista. Ma da quello del nascituro? Certo, queste incertezze sono quotidiane per i figli adottati che si trovano – in un certo senso – a vivere due “identità”… quella affettiva e quella biologica, realtà non sempre così facilmente armonizzabile. Ma è possibile “creare” in modo legale queste incertezze e insicurezze a un figlio? Ma soprattutto: è veramente amore quello che sceglie di creare un “buco nero” nel passato del figlio, pur di poterlo generare?

E forse è meglio che io mi fermi qui con le domande. Se queste domande vengono a me, che sono adulta e ho quindi molti più “strumenti” a mia disposizione per capire le cose, quanto potranno moltiplicarsi, nella sua mente, gli interrogativi, le domande e i pensieri riguardo quello che è un argomento che lo riguarda in modo diretto?

Se ci pensiamo bene, queste situazioni sono molto più numerose di quanto saremmo portati a credere per il nostro perbenismo… figli illegittimi, famiglie allargate, unioni plurime più o meno legittime. E qui già ho sbagliato il termine. Perché, in questa sede, non volevo parlarne con termini adulti. Un bambino non ti chiederà se mamma e papà sono regolarmente sposati, però vorrà sapere chi è il suo papà, perché la mamma torna solo una volta a settimana, se è proprio necessario vedere gli altri figli del papà per poter giocare con lui… lo diranno con parole piccine, con parole di giocattoli e pupazzi, ma non eviteranno di mostrare un disagio. Non parleranno di diritto canonico, civile o penale. Non chiederanno garanzie, ma vorranno ugualmente vedere adempiute le promesse fatte loro…

La riflessione che mi viene, sentendo certi interrogativi è che, nella nostra superficialità ci siamo affrettati un po’ troppo a bollare come progresso il disfacimento della famiglia e l’incertezza degli affetti. Ci siamo dimenticati di un dettaglio. Ci siamo dimenticati di tanti figli che, confusi e disorientati, elemosinano qualche certezza, implorano un po’ di stabilità. Quanto meno, sapere chi chiamare mamma e papà, a chi volgere lo sguardo dopo una marachella, a chi poter dire “ti assomiglio?”. Naturalmente, non pretendo né m’illudo di cambiare il mondo. Probabilmente, gli orfani ci saranno sempre, le adozioni saranno sempre necessarie e tante famiglie si distruggeranno. Spero però sia possibile riflettere un momento, tenere conto anche dei più piccoli, dei loro pensieri, di una loro sensibilità che è diversa dalla nostra e che, spesso non cogliamo solo perché non è espressa in modo diretto. Ma non per questo si manifesta in modo meno chiaro.

 

P.S. La citazione verso due film, che mi hanno ispirato parecchie riflessioni nella stesura di questo articolo, è d’obbligo. Il primo è “Kung Fu Panda 2”, il secondo è “il bambino con il pigiama a righe: in entrambi, in modo più o meno marginale è trattato il tema della paternità e di come sia vissuta dai primi “ispettori di qualità”, cioè i figli.

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