Processo a Cristo
La liturgia ci conduce ad un “processo” a Gesù, che si trova a dover giustificare se stesso.
Il brano riportato nel rito ambrosiano è la parte conclusiva , rispetto a quanto proposto nel rito romano: troviamo, quindi, riportate le medesime immagini e metafore, che richiamano il mondo bucolico della pastorizia: pecore, pastori e distese d’erba richiamano un’atmosfera in cui il tempo si perde, ma, al contempo, la brutalità degli agenti atmosferici, d’estate o d’inverno, non risparmia né uomini né animali.
Al di là della poesia bucolica
Perché al di là della poesia che regalano le immagini evangeliche, chiunque abbia avuto modo di conoscere da vicino il mestiere di chi conduca al pascolo gli animali, sa quanto aspre e sfidanti possano essere le condizioni in cui esso avviene. Sa che significa dover partire presto al mattino e tornare a casa a fine giornata, qualunque sia il tempo. Sa che significa dover badare ad ogni necessità del bestiame, sotto ogni aspetto, per cui non può esistere il ribrezzo per quelle mansioni che possono essere considerate fastidiose oppure riluttanti. È un mestiere faticoso e stancante, che, però, ti si appiccica alla pelle e ti accompagna tutta la vita, perché non ti consente di poterlo fare “a ore”. Le bestie richiedono la tua attenzione sempre: non esistono feste o ferie, perché richiedono l’attenzione del pastore ogni giorno e a tutte le ore. Proprio per questo, all’epoca di Cristo, erano considerati “impuri”, poiché il loro stile di vita rendeva pressoché impossibile, per loro, potersi presentare al tempio secondo la purità rituale.
Il pastore e le pecore
Eppure, proprio questa è l’immagine che costella i Vangeli. La pastorizia. Quasi che Cristo non si lasci impressionare dai criteri di purità del tempio, riuscendo a vedere, in quest’immagine una grande ricchezza comunicativa. Del resto, un dettaglio non ci può sfuggire. Le pecore hanno bisogno del pastore, perché a loro serve la sua protezione. Sono animali docili, incapaci di difendersi dai predatori e, lasciati a se stessi, in breve ne finirebbero vittime. Al contempo, però, anche il pastore ha bisogno delle pecore: loro gli forniscono il latte e il necessario di cui vivere. Il pastore si prodiga a loro vantaggio, ma, a sua volta, ne riceve benefici.
Sembra sconcertante pensarla in questi termini, considerando che, abitualmente, nella metafora, è Cristo ad essere considerato il pastore ed è difficile pensare come il Verbo divino come in qualche condizione di necessità, cui l’uomo possa sopperire. Ma sant’Ambrogio stesso, nel suo Esamerone, sottolinea come Dio possa finalmente riposare, al termine della creazione perché, avendo creato l’uomo, aveva finalmente qualcuno da perdonare.
Ascoltare e seguire
C’è una voce, che parla. Ed è seguita, in quanto riconosciuta: solo a motivo di questo. C’è un incontro di voce, che va oltre l’inganno della vista. Ne abbiamo l’esempio con l’incontro di Maria di Magdala al sepolcro[1]. Scambia quell’uomo per il giardiniere: forse a causa del velo di lacrime ad annebbiarle la vista, oppure, per via di quel corpo glorioso, tanto diverso da quello che aveva visto lacerato sulla Croce. Fatto sta che, a fronte di q
Forse, è proprio vero che, come dice Luca (4 anni)[2]: “Quando qualcuno ci ama, il modo che ha di dire il nostro nome è diverso. Sappiamo che il nostro nome è al sicuro in quella bocca”. Per questo motivo, i dubbi di Maria si sono dissolti, all’udire quella voce e, senz’altra titubanza, ha lasciato esplodere immediatamente, il suo sollievo – e la sua gioia – in un “Rabbunì!” che condensava, in esso, ogni altra parola, divenuta, ormai superflua.
L’anelito all’unità
La conclusione del brevissimo brano evangelico liturgico è un inno all’unità. Dall’unità che viene dal Padre e dal Figlio deriva la protezione, che eviti ogni strappo. La garanzia che, al di là di ogni possibile allontanamento, volontario od involontario, Dio tiene così tanto a noi da non perdere mai di vista, seppur da lontano, le nostre tracce.
VANGELO Gv 10, 27-30
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Rif. Vangelo festivo ambrosiano, nella IV domenica di Pasqua (At 20, 7-12; 1Tim 4, 12-16; Gv 10, 27-30)
Vedi anche: Messa con Risurrezione? Ordinaria Amministrazione!
Fonte immagine: silviamasserini
[1] Vd Gv 20, 11-19
[2] Come emerso da una ricerca di psicologi, informalmente riportata dal sito Amici di Lazzaro
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