La liturgia della VII domenica dopo Pentecoste pone al centro il tema della scelta.
Nella prima lettura, Giosuè, ormai avanti con gli anni, vuole sincerarsi che il popolo d’Israele, prima di disperdersi, si fortifichi nella propria fede, così da mantenerne la costanza, senza lasciarsi influenzare dalle vivaci (e politeiste) culture dei popoli confinanti. Ecco quindi perché Giosué realizza un rito che richiama le promesse (la stele) ed erige una pietra, come fecero i patriarchi. È il popolo che liberamente sceglie la propria adesione alla fede: accetta di prendersi un impegno di fedeltà, anche se sappiamo – prima della storia, ce lo insegna il nostro cuore – che, spesso, i proclami e i buoni propositi, spesso tali rimangono perché la nostra indole è fragile ed è difficile perseverare in quello che – pur liberamente – decidiamo di compiere. È Dio a rimanere sempre fedele alla propria Parola, fino a pagarne le estreme conseguenze; l’uomo no: a volte per paura, a volte per conformismo, a volte per entrambe le cose, siamo noi i primi a tendere al sincretismo, ad essere sempre più indulgenti con noi stessi che con gli altri, fino – talvolta a raggiungere un pressapochismo che sfiora l’ipocrisia.
Ecco perché i riti sono importanti.
Ci aiutano a rivivere il nostro punto di partenza, quello che ci ha messo in cammino e ci ha condotti a compiere quelle scelte che la libertà ha avallato, ma, talvolta, la scarsa volontà infrange.
«Fratelli, rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro» (1Ts 1, 2-3).
L’epistola, rivolta ai Tessalonicesi, riprende la tematica della fatica, leit motiv che accomuna le tre letture, eppure, con spirito eucaristico, l’Apostolo inserisce proprio la fatica, insieme con l’operosità e la ferma speranza, tra i motivi per cui rendere grazie a Dio. Un po’ sconcerta, forse, questo ringraziamento: non è così scontato né spontaneo pensare di ringraziare per la fatica vissuta. Tutt’altro. La tendenza è quella di vivere la fatica come una sfiga, da affrontare solo se non è proprio possibile evitarla. Qualcosa di ineluttabile. Ma difficilmente un’opportunità di cui ringraziare. Tuttavia, san Paolo ha perfettamente ragione. Se ci riflettiamo, la fatica ci aiuta a comprendere cosa valga davvero: è vero, ci mette in discussione; ma, attraverso di essa, spesso, riusciamo a scorgere sfumature diverse, soprattutto quando le nostre relazioni stanno vivendo un periodo di stanchezza, in cui abbiamo dimenticato perché ringraziare, perché ormai diamo tutto per scontato.
Anche il Vangelo ci sottolinea un momento di fatica nella sequela. «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60): borbotta la ciurma, sensibile allo smarrimento della folla e al turbamento delle gerarchie religiose, di fronte a Gesù, che si era appena proclamato “pane” e “carne” da mangiare, suscitando comprensibile sdegno negli astanti.
Sotto sotto, talvolta anche noi, tentati dal meccanicismo, vorremmo una spiegazione più razionale, più scientifica, più tangibile, più a portata di mano e di cervello. Non ci piace troppo che ci venga chiesto un tuffo carpiato di fiducia nella Parola di Dio.
Per questo, le recriminazioni dei discepoli ci paiono sensate, ci aspetteremmo quindi una rettifica, come avviene per quelle fake news così fuori dalla realtà da essere evidente che debba arrivare un comunicato stampa di rettifica. Invece, nulla. Cristo non ritira l’offerta, anzi. Rilancia.
«Volete andarvene anche voi?» (Gv 6, 67)
I veri amici sono sempre liberi di separarsi, senza separarsi mai (Alfred Bougeard): Cristo dimostra di conoscere davvero l’amicizia e ce ne propone un esempio, proprio in questo brano evangelico. Qualche motivational coach, magari, di fronte a simili borbottii, avrebbe abbassato la posta in gioco, pur di mantenere il controllo della truppa, onde evitare possibili dispersioni, calo del numero degli iscritti ed altri disastri annunciati.
Il rabbi di Galilea, invece, non sembra soffra di manie di protagonismo,né ansia da prestazione, né paranoie legate ai numeri. Per Lui, primaria è l’autenticità della sequela. Che, a volte, come sottolinea Paolo nella sua epistola, richiede anche un pizzico – oppure un oneroso quantitativo – di fatica. Non sempre la strada è in discesa, non sempre la relazione con Dio è lineare e chiara. Alle volte, ci sono dei perché giganteschi che affollano la nostra mente, oppure delle perplessità che annebbiano il nostro cuore; a volte, è il cammino stesso, per la lunghezza o per le avversità, a farci dubitare della Presenza di Dio in mezzo a noi.
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio» (Gv 6,68)
È Pietro che risponde. A nome di tutti e forse anche un po’ al posto nostro, bruciandoci sul tempo. Perché, probabilmente, noi saremmo stati ancora un po’ a temporeggiare (in fondo, un pochino ci piace accarezzare l’idea di andarcene, di “farci desiderare” e – sicuramente, ci lusinga la consapevolezza di poter avere davvero la possibilità di allontanarci, se lo vogliamo). Abbiamo bisogno dell’impulsività di Pietro, che con un colpo di reni, ci riporta alla realtà.
Sì, è vero, a volte facciamo fatica, vorremmo mollare. A volte, le richieste di Dio ci sembrano superiori alle nostre forze e vorremmo – semplicemente – chiederGli se non ci stia un po’ sopravvalutando. Però, poi, ci rendiamo conto che, senza di Lui, è come se ci mancasse l’aria. Il respiro ci si fa presto affannoso, come una salita che s’inerpica con una pendenza inattesa: però è solo in vetta che riusciamo a respirare a pieni polmoni, perché solo Gesù riesce a farci spalancare lo sguardo oltre i ristretti orizzonti del nostro io. A volte, costa fatica, seguirTi, lo sappiamo bene : ma è quella fatica indispensabile al bruco per poter diventare farfalla!
Rif: letture festive ambrosiane, nella VII Domenica dopo Pentecoste, anno C (Gios 1-2a. 15b-27; 1Ts 1, 2-10; Gv 6, 59-69)
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Fonte: don Raffaello Ciccone, Parole Nuove