Per porre ascolto alla nostalgia di Dio. Quando Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II (1962) in lui era chiara una certezza, confidata poi all’intera Chiesa universale: il cristianesimo è prima di tutto un fattore umanizzante, altrimenti è forte il rischio di fare del semplice moralismo. Prese le distanze da certi “profeti di sventura” e invitò all’avventura della fede senza temere i contraccolpi della contemporaneità. Dopo cinquant’anni (2012) la statuaria presenza di un altro Papa, Benedetto XVI, trova il coraggio di indire l’Anno della Fede. Troppe volte la Chiesa s’è dispensata dall’interrogarsi sul legame tra il Vangelo e la storia dentro la quale giacciono i desidèri e le ferite dell’uomo. Entrambi i Papi – seppur in contesti diversi – rilanciano dunque la sfida di annunciare e testimoniare la Parola “in ogni occasione opportuna o non opportuna” (2Tm 4,2). Accerchiato e forse anche un po’ tradito, papa Ratzinger riesce ancora ad avvertire – seppur sotto le ceneri di una mentalità che ha perso la dimensione del Cielo – i fremiti di un’ardente nostalgia di Dio scolpita dentro l’animo dell’umano: per questo addita alla fede come a quella dimensione che prima d’essere un’osservanza supina e servile dei dogmi è il racconto entusiasta di un incontro che ha trasformato la nostra esistenza: quello con il Gesù Risorto che continuamente spinge ad esplorare l’umano.

sentinella
A cinquant’anni dall’indizione del Concilio, la sfida però rimane la stessa: alimentare il fascino della sequela di Cristo. Dimodochè a sentirsi interpellati per primi siano i credenti: consapevoli che una fede che non diventa cultura è una fede morta. Perchè se un incontro ti cambia la vita, di quell’incontro mai più ti vergognerai ma troverai il coraggio, sulla scia del Vangelo, di gridarlo sopra i tetti. Dai tetti in su: per confidarne la voce anche a chi non ha avuto la fortuna d’imbattersi in esso. Ma anche dai tetti in giù: per ricordare a chi L’ha incontrato la responsabilità di diffonderne l’eco e alimentarne la nostalgia. Oggi che l’uomo contemporaneo somiglia sempre più ad una rondine stordita, il cristiano può tornare ad essere una “spia di Dio” dentro la società, come la Donna Nazarena. Laddove essere spia non ha nulla di infame o di nefasto ma riallaccia al verso senso dell’avventura cristiana: leggere le tracce di Dio dentro la confusione della quotidianità. Basterebbe quest’invito per ritrovare la genuina freschezza dell’origine cristiana in questa proposta dell’Anno di Fede: forse è giunta l’ora di tornare a proporre il cristianesimo non più come un comandamento morale o un dogma ma sempre più come un suadente invito e un’affascinante proposta di proporre uno stile nuovo di umanità e di storia. In fin dei conti la fede di Gesù non si è mai limitata a tratteggiare un comportamento morale ma ha sempre fatto leva sulla fantasia intima dell’uomo e sulla sua creatività per farla esplodere in pienezza. E metterla al servizio dell’umanità.

Il Papa l’ha capito: abbiamo sempre gettato le reti in quella parte del mare, e i pesci prima le riempivano. Oggi “abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Prendere il largo è l’unica chance rimasta per fare di noi dei pescatori maturi: i pesci ci sono e non è colpa loro se non si riesce più a prenderli. Loro si spostano ma se il pescatore non è disposto a rischiare il movimento anche lui, la delusione sarà grande. Per fare questo non basta un anno: è qui racchiusa tutta l’avventura della fede. Intrigante, però, il fatto che ci sia ancora qualcuno che addita al Cielo per dissetare chi, immerso nell’avventura umana, avverte fremere la nostalgia di ciò che fino a ieri sembrava tardivo e fuori moda. E oggi torna ad essere fonte di stupore e meraviglia: Gesù di Nazareth.

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