Il predicatore
era in ritardo.
Nella cappella
del convento, le suore in attesa erano arrivate al quindicesimo mistero del
Rosario, quando suonò il campanello della portineria. Trafelato, il predicatore
si scusò imbarazzato dicendo alla superiora che l’attendeva: "Mi dispiace, Madre, ma non sono riuscito a
prepararmi…"
.
"Non importa" – rispose cortesemente la superiora. "Parli pure a vanvera".

Suora
Quanto pagherei per vedere un "faccia a faccia" tra
quella superiora e il vecchio Mosè, pastore-profeta, tutt’intento a
raccomandare al popolo in prossimità della Terra promessa: "Porrete nel cuore e nell’animo queste mie parole: ve le legherete alla
mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi"
. Quasi a
dire: guai a dimenticarle queste parole. Perché parole umane non sono, ma
recano impronte di strategie divine! A fare l’analisi grammaticale è da
prendere paura. Dice: "porrete".
Cioè: andate incontro alla Parola, appropriatevene, prendetela, collocatela
dentro di voi, portatela via, spezzatela in casa, sfruttatela! In chiesa
caricatevi, a casa colorate le mura con questa Parola. Peccato che basti
fotografare una liturgia della Parola domenicale per massacrare di delusione il
cuore di Mosè profeta: sembra quasi che la liturgia della Parola sia
un’iniezione letale, una flebo rassegnatamente inflittaci, un valium fastidioso da accettare. Gente
spenta, estranea, senza vera passione. Incapace di commuoversi, di lasciarsi strattonare da sillabe divine, di farsi
tormentare per scrutare la serenità. Capita come ai tempi di Ezechiele profeta,
quando ci si diceva l’un l’altro: "Andiamo a sentire qual è la Parola che viene dal
Signore"
, e si andava pure in gran numero e ci si sedeva per ascoltare, ma
solo per compiacersi di parole lasciando il cuore schiavo. Oggi, all’entrata e
all’uscita dalla chiesa, c’è solo un ritornello: "Tutto bene, grazie". Come ai tempi di Geremia, quando bene non
andava proprio nulla. Ma va tutto bene: se ascolti la parola dell’uomo…

Peccato che Mosè raccomandi tutt’altre parole. E’
allucinante nella sua esattezza. Precisa: "queste
mie parole"
. Queste qui! Non altre: quelle che piacciono, i passaggi del
Cantico e dei seni come cerbiatti, della colomba nascosta nelle fenditure della
roccia e del Gesù biondo e col pizzetto versione Harry Potter. Del Gibran trasformato in Scrittura e dei versetti del
salterio inzuppati di new age. No: proprio queste. Garantito che, se il cuore è
aperto, quelle parole sono giuste per te, non altre. Non è questione di
quantità, con Dio è doverosa la qualità. Basta una parola, forse una sillaba,
peggio ancora uno spazio di silenzio… perché la Bibbia ti metta ko. Perché la Scrittura non è parola
di uomo, chiacchiera da parrucchiera, gossip
da canonica "versione congrega" (termine tecnico veneto per indicare la riunione dei parroci il primo giovedì di ogni mese). La Scrittura rimane dardo
lanciato dall’alto per trafiggere e tornare dopo aver trafitto. Ma l’uomo è un
genio diabolico: riesce a trasformare il dardo in una confezione di miele
ambrosoli. Scrivendoci: "sponsor
ufficiale della nazionale cristiani permododidire"
.
Parole da custodire, secondo la ricetta prescritta dal
patriarca, "nel cuore e nell’animo".
Solo quando lambiscono l’interno, acquistano la capacità di cantare. Di
parlare. Di evocare. Sono costruite per entrare dentro, per allargare
l’immaginazione, per spolverare l’anima. E prendono la forma di chi le
accoglie, al pari dell’acqua che s’inventa geometrie sempre nuove a seconda del
contenitore che l’ospita. Sbocciano nel cuore: finchè sta nel cervello non fa
problemi. E’ parola dotta, brillante, sapiente, illuminata, spiegata. Fredda!
Quanti libri scritti per spiegare un messaggio vissuto da Uno che non ha mai
scritto! Carta straccia…! E’ quando
scende nel cuore che la Parola
diventa pericolosa: sconvolge e infiamma, straripa e allaga, denuncia,
coinvolge e strapazza. Irride, provoca e lambisce. Taglia, sveste e denuda.
Accende, brucia e colpisce. Stropiccia il sonno e accende la curiosità del
cuore. La riconosci subito questa parola: chi la pronuncia non la possiede, ma
ne è posseduto. La sua bocca è calda, appassionata, divorata dal furore.
Posseduto mentre se ne stava in ginocchio ad estrarla, a cavarla, a sradicarla con
sudata testardaggine dal suo intimo. Senti subito che la parola gli esplode in
mano. Da cosa lo percepisci? Non t’indottrina: ti racconta, t’avvolge, ti
stupisce. Ti sorprende, ti anticipa, ti fa piangere. Vedi che non ha paura di
mettersi a nudo, di testimoniarti la sofferenza di chi scavando viene scavato.
Di chi cercando viene rapito. Di chi parlando viene zittito. Ma t’incanta
perché la Parola
è "come un pendaglio tra gli occhi".
Cioè è stampata nel suo volto.
Il volto: l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora!
E’ là che la gente cerca la
Parola di Dio. Quanto schifo
certe facce di predicatori spenti e appassiti, freddi e implacabili,
calcolatori amministrativi e deficienti (de-ficere)
conoscitori della Parola. La gente non scorge la passione, non avverte la
fatica, non sa distinguere la spiegazione della Parola dalla lettura delle
prescrizioni scritte nelle confezioni dei medicinali. La faccia non parla
(anche se il colletto è perfettamente sistemato, il clergyman impreziosito da
polsini d’oro, la testina inclinata e abitata da un farabutto misticismo
calcolato). Ma gli occhi non parlano e il popolo brancola nelle tenebre. E’ da
lodare la capacità di raggelare l’uditorio che certi ministri possiedono. Per
loro Giovanni Verga scrisse l’elogio funebre ancor prima che nascessero: "ma il Reverendo aveva altro in testa che
perdere il tempo a leggere il breviario, e se ne rideva del rimprovero di
Monsignore. Se il breviario era coperto di polvere, i suoi buoi erano lucenti,
le pecore lanute, e i seminati alti come un uomo
" (Il Reverendo, Novelle Rusticane, 1883).
Parlano. Ma non parlano. Perché non brillano!
Cioè la chiesa diventa il magazzino del quartiere, deposito ammuffito di parole spente. Di
suoni zittiti. Non portandole più sulla strada, le navate diventano le stanze della
sede del club uditori intimoriti. Con
il curato come presidente e il vice-parroco amministratore delegato. Guai a
testimoniarle fuori: rischieremmo il linciaggio! Quando Mosè, poverino, si
raccomandò di tenerle a mente "quando
sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via"
.

Quando manca la Parola...
Nel calcio la chiamano "zona cesarini". Nella
liturgia si chiama "zona chiacchiere". Il suo momento appena dopo la comunione:
cioè l’attimo in cui l’uomo diventa il nascondiglio di Dio. Il suo tabernacolo.
Cielo e terra sembrano lambirsi il mantello. Un parroco sale e legge gli
avvisi. Nell’attimo in cui l’uomo custodisce il suo Signore: "Giorni di abituale amministrazione.
Raccomando la puntualità alla castagnata in parrocchia. Il resto tutto come
negli ultimi anni: rosari, giaculatorie, incontri caritas, condomini. Le
bollette in parrocchia aumentano: collaborate. Nessuno è autorizzato a
raccogliere soldi a nome della Parrocchia. Lo ripeto perché ne mancano"
.
Sembra finita la litania, quando aggiunge: "Qualcuno
ha dimenticato un portafoglio in parrocchia. Passi a prenderlo in canonica"
.
Un ragazzo, sottovoce, commenta al suo vicino: "E mi lasci il 10 % del valore".
Forse conosceva troppo bene il suo
parroco!

Triste non averlo mai sentito dire: "Raccomando di non dimenticare la Parola di Dio in chiesa".

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