ettyDi lei dissero che era intelligentissima ma con una personalità fortemente disturbata: qualche psichiatra lo direbbe anche di Angela da Foligno, di Giuliana di Norwich o di Teresa Neumann. Di lei – Etty Hillesum – ci è rimasto poco più che un Diario e alcune lettere. Quando Amsterdam diventa teatro di retate di Ebrei – avviati verso il campo di smistamento di Westerbork – Etty potrebbe fuggire ma non lo fa: sceglie di soffrire assieme al suo popolo mentre viene condotto al macello. In questi giorni di “memoria”, la pagina Facebook a lei dedicata supera i cinquemila seguaci: perché seguire una ragazza ebrea quando a tutt’oggi qualche manigoldo s’intestardisce a negare persino la Shoah? Non certo, penso, per il gusto lugubre della carneficina, e nemmeno per quella vaga compassione pietistica che attornia le grandi pagine della storia umana. Penso ci sia un di più in quella ragazza che dentro la follia nazista della segregazione razziale ha incontrato Dio leggendo le poesie di Rilke e le pagine di Agostino. C’è tutto il segreto di una memoria che diventa storia, di un passato dissoluto – “padrona di una vita libera e sregolata” come dice di lei nella prima parte del Diario – che viene purificato nel presente della fatica in vista della costruzione di un futuro diverso da quello che la storia dell’uomo vorrebbe.
Colpisce forse quella sua interiorità così lucida e profonda, sin quasi imbarazzante: quando tutto sembra essere governato e deciso anzitempo dalla necessità, c’è ancora un margine di iniziativa a disposizione: quello della propria interiorità. Ed è forse quel calarsi dentro la propria storia, quel fare memoria di un passato burrascoso, quel cercare la pace del cuore che ha permesso a questa ragazza che oggi avrebbe cent’anni di differenziarsi da milioni di altri suoi connazionali per l’atteggiamento interiore col quale visse la disgrazia della follia: se è vero che siamo costretti a morire – narrerà un giorno mentre la morte s’avvicina – è altrettanto vero che è nelle nostre possibilità decidere come morire. La sua è una storia di periferia, una storia anonima, una storia che avrebbero voluto si spegnesse nelle ceneri del suo corpo bruciato: invece oggi è una storia che vive come non mai, una traiettoria che al mondo giovane raccomanda l’urgenza di non farsi mai rubare la speranza, di non lasciare che nessuno firmi la vita al posto loro. “Se tu vivi interiormente, forse non c’è neanche tanta differenza tra essere dentro ed essere fuori di un campo” – annota nel suo diario nella primavera del 1942.
Il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio – giorno in cui liberarono nel 1945 il campo di concentramento di Auschwitz – di ogni anno come commemorazione per le vittime del nazismo, dell’Olocausto e di coloro che rischiando la vita hanno protetto i perseguitati. E’ il giorno della memoria: non di quella memoria che piace agli uomini e che sovente diventa amarcord, malinconia di ciò che non c’è più, mestizia dei tempi andati. La memoria non è solo del passato, la memoria è anche del presente e del futuro. E in quanto memoria del futuro – come tratteggia papa Francesco nella sua prima enciclica “Lumen Fidei” – è strettamente legata con la speranza. La speranza tenuta accesa da una ragazza appena trentenne, Etty Hillesum, che, mentre partiva da Westerbork sul carro bestiame per andare con il suo popolo incontro ai macellai di Auschwitz, lanciò dal treno una cartolina. La raccolsero dal binario qualche giorno dopo. C’era scritto: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. La vittoria del carnefice è completa quando l’odio che lo anima contagia la vittima. Con Etty, i nazisti avevano clamorosamente fallito il bersaglio: nelle tenebre, una ragazza aveva tenuta accesa la speranza. Di una memoria da custodire in eterno.

(da Il Mattino di Padova, 26 gennaio 2014)

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