Chiesa di San Luigi dei Francesi, rione di Sant’Eustachio.
Gioiello d’arte, di fede, di stupita e intonata bellezza. Ci transitò il
Caravaggio pittore per far vivere nella tela la potenza attraente di una
chiamata: quella del Levi esattore diventato Matteo evangelista. Luci e ombre,
severità e tenerezza, immaginazione e decisività. L’attimo in cui l’Eterno
irrompe nell’umano per condurlo nell’Eterno. Per ammirare la tela si parte da lontano
e gli accenti ne tradiscono le provenienze: l’inglese di Londra, il tedesco di
Berlino, il cinese di Pechino, il veneto del Nord Italia. Tutti lì aggomitolati:
immobili e stupefatti. Potere della bellezza: voce che annuncia qualcosa di
straordinario. Di fuori dall’ordinario.
Nota stonata quel signore, stempiato e un po’ triste
che, chino sui primi banchi, sta sfogliando La
Gazzetta dello
Sport. Forse per fare ermeneutica della situazione della squadra del cuore.
Di fronte al sublime, sceglie il quotidiano pensiero. C’ha una scusante, forse:
quella tela l’avrà fissata migliaia di volte. Fissata fino a stancarsene. Magari
abita appena fuori della porta. Sulla piazzetta. L’abitudine di frequentare la
bellezza l’ha reso anestetizzato alla bellezza stessa. Disimparando che
bellezza è possibilità di rivedere un’opera d’arte, un volto, una storia per
migliaia di volte come fosse sempre la prima volta.
Simon Weil era convinta che fosse la bellezza l’esca
che Dio usa per sedurre l’uomo. Perché è forte il rischio di passare dinanzi ad
una cosa gigante senza accorgersene.
Dio e l’Eternità compresi.