Uscì da casa e sedette in riva al mare. Mare e casa: sagome estive, familiari, d’elementare concezione. Ma il Vangelo, Libro dei libri, ti sorprende quando cala il soggetto di tali azioni: Gesù di Nazareth. Che esce da casa e siede in riva al mare come me, come te, come tanti altri. Che spartisce con noi l’ incognita di un’avventura azzardata: diventare uomini. E’ l’altra faccia di Gesù, il lato ignorato del suo essere Dio. Come in quel meriggio assolato che Giovanni lo intravide stanco e accaldato in prossimità di un pozzo. Come nella notte tempestosa di Marco evangelista quando, a tormenta scatenata, venne immortalato da Pietro e pescatori mentre sonnecchiava tranquillo in poppa alla barca. O nelle sere pizzicato tra gli amici appena fuori Betania. L’ultima segnalazione lo da sulla riva del mare. Seduto: chissà a cosa pensava! Forse alla traiettoria di qualche volo d’uccello, al silenzio di quel lago amico, al mistero di quelle onde mai uguali a se stesse. Dalla superficie del lago all’estensione del cielo il passo è breve: l’accortezza di rizzare un pelo lo sguardo. Per complimentarsi col Padre, per respirare, per sentirsi cercato. Pure Lui nutriva mal celate esigenze di privacy e di solitudine!
Uscito silenziosamente all’alba per evitare di proposito il seguito di "fotografi", s’illudeva forse di rincasare pure nell’anonimato. Ma la gente ha sete di uomini che parlino dopo aver osservato e pregato sul mondo. Che nelle parole facciano rivivere la vita della gente. Che usino un linguaggio che profumi di terra, di concretezza, di umana passione. Dieci, cento, mille: il Vangelo non li censisce. Come non precisa la durata di quello sguardo seduto e solitario di Gesù. Dice solo che ha dovuto parlare perché la gente, con la sola presenza, aveva fame della Parola, quella "che non ritorna il cielo senza avere irrigato la terra" (Is 55,10). Uscito per rincasare appena dopo, non sembra scomporsi all’ istanza della gente. Abituato a parlare sui monti o nei templi, sulla barca appena scostata dal mare o su una strada triste e polverosa. A Cafarnao, a Nain, a Genesaret. In città, nel deserto, dentro casa. Chi sa cosa dire non guarda alle prestanza delle cattedre. Parla perché, ascoltando con gli occhi, ha intercettato la posizione dell’uomo nell’universo. "Guarda prima di parlare" – dice la mamma al bambino stizzito per quella che pensa essere la solita vivanda. Piacerebbe pizzicare il Maestro stamattina – dopo una settimana di cronaca a dir poco martoriante – e accendergli le parole. Dopo che, seduto, ha osservato di là del mare gli insulti di Piazza Navona, il massacro di Lloret del Mar, l’attacco a Herat e Istanbul, il party dei G8 a Tokayo. Il volto del clochard, del rom, di Eluana. "Maestro, che dici?"

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Forse riesporrebbe la storia di quel mattino quando s’improvvisò esperto di agricoltura illustrando terreni sassosi e pieni di spine, strade infeconde e terre fertili (Mt 13). Come dire: siediti e osserva il mondo.

L’uomo ti verrà incontro. E non avrà bisogno di presentazioni.

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