La storia di Carlotta – studentessa prodigio laureata in Medicina a ventitré anni, dopo una serie ininterrotta di successi – è entrata anche dentro le galere, in quella discarica statale dove vengono parcheggiate le esistenze deragliate, le storie rotte, le facce cattive. A Marco, uno dei nostri ragazzi detenuti, leggendo che questa ragazza era stata «programmata per primeggiare» (S. Lucarelli), gli è venuto spontaneo: «Io, invece, son stato programmato per perdere». Per non eccellere. La sua storia, invece che i giornali, ce l’ha raccontata lui: «La mia è stata una vita di merda, con la M maiuscola: non sono mai stato bambino, sono cresciuto velocemente, ho dovuto imparare da subito a cavarmela da solo. La povertà che c’era a casa nostra non mi dava speranza di vivere ma soltanto di sopravvivere. Pochi i giocattoli, tantissime le urla dei miei genitori mentre io e i miei fratelli ci nascondevamo per non sentirle, per non vedere cosa accadeva. Io non saprei proprio dire che cosa significhi essere stato un bambino».

Marco, il fallimento l’ha annusato fin da piccolo. Trafugando le sue parole, potremmo dire che, nascendo dov’è nato, si è visto programmato per perdere. Eppure, ascoltando storie così, penso ci sia un unico fallimento nella vita: quello di permettere ad una sconfitta di avere la meglio su noi. Anche il peggiore degli errori, lo preferisco di gran lunga al non averci provato. Magari solo per la paura di sbagliare, di non essere al top, di non farcela. Quando, in galera, la gente mi racconta dei loro errori, capisco che il fallimento non sia stato un becchino per loro, ma un professore. Non è stata la loro sconfitta, ma un semplice ritardo. Che il fallimento sia qualcosa che possiamo evitare soltanto non dicendo nulla, facendo nulla, non essendo nulla: mai confondere una singola sconfitta con una sconfitta decisiva.«Adesso mi sento libero (in galera, ndr) continua Marco –, non ho più i problemi che avevo fuori: là ero in guerra continua con me stesso e con gli altri, dovevo sempre guardarmi alle spalle, vivere di compromessi, di parole ingoiate che non potevo esprimere. Di amicizie merdose in ogni senso. Oggi, dopo anni di galera, sto imparando ad esprimere ciò che penso, decidere io se una cosa vale per me. Oggi ho la forza di reagire, di non esser più manipolato».

La storia dell’umanità, con il rispetto per Carlotta, più che a lei assomiglia tanto a Marco: è quasi interamente una narrazione di progetti falliti, di speranze deluse. Meglio fallire nell’originalità che avere successo imitando. O vivendo vite che altri vorrebbero noi vivessimo.

(da Specchio de La Stampa, 20 novembre 2022)

9 risposte

  1. Alla luce di queste “sante esperienze” da te condivise, caro don Marco, penso sia importante scovare in noi e negli altri questi malesseri provocati da sconfitte e darci la possibilità di comunicarle, condividere… ‘Sì da trovare la forza per ricominciare a sperare, a scegliere la via dell’ originalità “. Grazie don Marco.

  2. Come sempre queste storie suscitano
    una profonda risonanza interiore e tanta verifica personale per un cambiamento Grazie don Marco per questo cammino che continua a condividere con noi in vari modi.

    1. Grazie a voi per condividere, anche solo leggendo, queste piccole “ragioni di speranza” quotidiane.
      Buona giornata!
      dm

  3. Le “ragioni di speranza quotidiane” a volte sono per me la parafrasi di un vangelo concreto che induce a ri-pensare. Non accarezzano l’anima, ma aiutano a uscire dalla nebbia. Grazie.

  4. Buonasera Don Marco, quante storie di vita vera, si ascoltano attraverso questi racconti di vita.
    Grazie mille per condividerle con noi.

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