Nasce e già deve scappare: il Potere si sta allertando per cancellarne dalla terra il ricordo . E’ poco più che un batuffolo di carne, eppure quella montagna di carne di Erode già trema al solo pensiero di incrociarne lo sguardo. Imbastisce un censimento perfettamente fallito; incapace di colpire l’uno, si mette in testa una strage per molti; fallito all’inverosimile, tenterà persino la corruzione dei Magi. Sotto il gaudio natalizio di un Cielo che irride i potenti, confonde i superbi e custodisce gli umili: “Giuseppe, alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto” (liturgia della Festa della Santa Famiglia di Nazareth). E Cristo parte: sul dorso di un asino, scortato da una Donna che mai l’abbandonerà e da un padre mai stanco delle bizzarrie del Cielo. Se ne va dalla sua terra, primo esule di una storia che da Lui prenderà l’appellativo di cristiana, con la mestizia dei viandanti e la serenità dei puri di cuore. Fugge ma il suo fuggire non sarà un esilio: esule non è colui che sta a migliaia di km da casa ma chi ha perduto la nostalgia di una casa, di una terra, di un’appartenenza. Esule “finchè non ti avvertirò” per proteggere il Cielo: “Erode vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Non lo troverà Erode, non lo troveranno i suoi cortigiani, non lo troverà chi lo cerca per farlo suo. Lo troveranno invece gli uomini con la miseria cucita addosso, le donne luride di peccati, gli uomini striati dalla morte: lo troverà chi l’avrà faticosamente cercato per averlo già avvertito presente da qualche parte.
“Poiché il tuo viaggio servirà alla casa; occorre infatti ripararne i guasti e renderla più allegra. Sul tuo guadagno hai già previsto qualche tappeto di lana pregiata e, per la tua sposa, la tale collana d’argento […] Tu costruisci la tua casa camminando lentamente col bastone, guidando l’asino, raggiustando le ceste, stropicciandoti gli occhi poiché è ancora presto […] Sei più solidale con tua moglie adesso che nelle ore di ozio quando dalla soglia di casa scruti l’orizzonte e non ti volti neppure per assaporare una cosa qualsiasi del tuo regno”
(A. de Saint-Exupéry, Cittadella, 325-326).
L’Egitto è terra di Faraoni, nel nome c’è l’eco di una schiavitù pesante ma anche di un grande condottiero: Mosè. Sembra che l’Eterno si diverta a prendere il giro la storia costruita senza di Lui. In Egitto Israele era una ciurma di accattoni e di miseri: dopo quarant’anni di dubbi e sospetti s’accorsero di essere il popolo dell’alleanza più invidiata della storia. In Egitto si va per allenarsi e difendersi, per rafforzare l’animo prima di una missione. Poi si torna: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. Morti perchè volevano la morte, come diverranno ciechi coloro che rifiuteranno la luce; e moribondi coloro che si ostineranno nel sospetto di una guarigione. Torna da dov’era fuggito: il Cielo non si lascia complicare i sogni per la debolezza della terra. Attende, si veste da esule, accetta il pubblico ludibrio; poi ritorna, ricomincia, perdona. E la storia si rafforza: non solo Dio si salva ma crescerà in sapienza, età e grazia. Tenteranno ancora di fermarlo ma Lui non s’arresterà: il deserto dell’Egitto l’ha forgiato, ne ha intonato le corde vocali, ha indirizzato gli occhi verso l’essenziale per salvarlo a tutti i costi dalla quotidianità del quasi banale.
Il Bambino. E dietro di Lui un’intera famiglia: il primo caso di famiglia in crisi. Ma anche il primo caso di famiglia innamorata: i contraccolpi del destino non ne indeboliscono l’amore, le peripezie di quella nascita sembrano non sconvolgerla più di tanto, quella storia nata con la benedizione del Cielo farà di loro i primi esuli additati come esemplari cittadini: un perfetto controsenso quaggiù. E con loro una carovana di pensieri addosso: pensieri di mamma e pensieri di papà, preoccupazioni di genitori e di giovani sposi, passi dubbiosi e cuore in pace. Tre creature che camminano sotto il Cielo di un viaggio che volentieri avrebbero evitato: ma che da uomini di Dio accettano di percorrere: perchè diventi mappa di mille altre peregrinazioni future. La partenza è sempre per un ritorno: quella terra d’Egitto diverrà un’avventura che si racconteranno di padre in figlio, di generazione in generazione, di nazione in nazione. Ancor oggi l’augurio più bello in terra ebraica è rimasto lo stesso: “hashanà haba’a b’Yrushalayim (“l’anno prossimo a Gerusalemme”). Se lo scambiano gli ebrei della diaspora da tempo immemorabile. E’ l’augurio di un sogno tanto bello quanto impossibile. Ma è anche l’annuncio di un Bambino che dall’Egitto dell’esilio è stato rimpatriato per ridare forza a chi non credeva più ai sogni del Cielo. Chi fugge poi torna; chi resta poi muore. In ogni gomitolo c’è un filo rosso: il suo nome è Speranza.
E ha pure un Volto: quello di un Dio bambino fuggiasco.