Mi capita spesso, ultimamente, di arrivare a sera e di scoprire d’avere firmato delle cose perfettamente inutili durante la mia giornata. Utile, dalle mie parti – ch’è il NordEst produttivo delI’Italia – è un’azione che produce profitto. Utile è arrivare a sera e scoprire che un qualsiasi tipo di fatturato è accresciuto leggermente rispetto al mattino. Già un pareggio porta in sè il sospetto dell’inutilità della giornata vissuta. Il massimo, dunque, che si possa raggiungere è riuscire ad unire l’utile con il dilettevole: “L’augurio è che tu possa divertirti faticando. Essere felice facendo il lavoro che fai!” si sente auspicare da più parti. Dal punto di vista dell’utilità, in questo periodo mi accorgo che non sto facendo granchè: inanello una cosa inutile dopo l’altra. Maggio, poi, è una delle mie stagioni più a rischio d’inutilità: il Giro d’Italia – seguito in tv o appostato a bordo strada – è cagione di tantissima inutilità. Assieme alle letture, alle passeggiate, al semplice fare cose che, a fine giornata, non fruttano nulla di utile. Per nessuno.

Poi, però, penso a quand’ero bambino. Di quanta inutilità è piena zeppa la mia infanzia: giochi, chiacchiere, mazzolini di fiori raccolti, lunghi appostamenti per intercettare uno sguardo. Il tempo inutilissimo di qualche bacio che, magari, non ha portato da nessuna parte guardandolo a posteriori. Inutile in tutti i sensi è stata la mia fanciullezza. Eppure, di quella stagione, conservo l’allegrezza del cuore che, negli anni a seguire, non ha più toccato vette cosi zeppe di vertigine: “E’ stato davvero inutile l’apparente inutile di quell’età?” mi vado chiedendo. E scopro, a voler essere onesto, che sono stati proprio quei momenti a scolpire la fisionomia della gioia nella mia esistenza. Quasi che, inconsapevolmente, mi sia parso evidente che nulla era più utile di quelle cose a prima vista inutili: “Hai perso tempo anche oggi?” mi rimproverava la mamma dopo aver visto l’ennesimo Lego Technic montato. Per lei, donna pragmatica che doveva far tornare i conti a fine mese, il gioco era tempo inutile. Per me il gioco era lezione di allegrezza pratica. Una questione che aveva a che fare con il cuore.

Resta il fatto che sono sempre state le cose “inutili” che sono riuscite a far vibrare il mio cuore. Ad allargare la mia immaginazione. Anche meditare, come studiare, non genera profitto. Alla lunga, però, crea le condizioni utili per riuscire a partorire un’idea che, applicata, genererà benessere oltre che profitto. Più che un invito al “cazzeggio”, il mio è un “elogio dell’inutilità”: a praticare atti, a vivere attimi, a escogitare pensieri senza secondi fini. Inutili ai fini della collettività che, ricercando solo l’utile, riempie le città di cemento e ferro. Dimenticandosi di aggiungere i colori.

(da Specchio de La Stampa, 21 maggio 2023)

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