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Ti abbiamo visto sorridere, in quelle foto felici, con la tua famiglia. Abbiamo voluto bene al tuo papà, per quel gesto così istintivo, per un padre, che, forse, è diventato determinante per salvare la tua vita: ti ha abbracciato stretto, quando si è accorto, forse in una frazione di secondo, che l’impatto sarebbe stato inevitabile; ti ha protetto, da quell’inferno di ferro e lamiere, letale per tutti gli altri, compreso lui stesso, da cui i vigli del fuoco ti hanno estratto, ore più tardi. Ti abbiamo pensato e, chi crede, ha pregato per te, perché, almeno tu potessi salvarti.
Perché?
Forse, qualcuno ha persino pensato che sarebbe stato meglio fossi morto anche tu, piuttosto che crescere orfano, con nel cuore il dolore di aver perso mamma, papà, fratellino e bisnonne in uno stupido incidente, occorso proprio durante un momento in cui stavate cercando (forse: stavamo cercando, perché tutti la cerchiamo!) un po’ di serenità.
Perché la tua salvezza avrebbe dato un senso a quello che, probabilmente, negli annali e nei ricordi giornalistici, sarà ricordata come “la tragedia del Mottarone”. Con quel miscuglio eterogeneo e scomposto di indignazione e d’oblio, con cui siamo soliti ricordare le tragedie italiane, al pari de “la strage di Ustica” o di quella del “Vajont”, pagine nere non solo della politica e della giustizia, ma, forse, dell’intera storia recente italiana.
Forse. O, forse, è solo che il tuo sorriso ha risvegliato qualcosa anche in noi. A partire dall’importanza di un padre che, avanti a tutto, compresa la propria vita, è disposto a donarla per la nostra salvezza. Passando dalla consapevolezza che un figlio non è mai solo il figlio di una coppia, ma un figlio del mondo e ciascuno di noi ne è responsabile, per cui ciascuno di noi deve sentirsi chiamato in causa di fronte a qualsiasi dolore umano, in particolare quello più innocente ed indifeso. Per finire, con un sottofondo di rabbia ed angoscia, nel dubbio che – forse – quella tragedia poteva essere evitata, quel lutto non esistere: forse, anche questa volta, come tante altre, il desiderio di lucro e di profitto ha sovrastato l’amore per la vita e la responsabilità sul lavoro?
Un insieme di emozioni e sensazioni difficili da decifrare, persino per noi che siamo adulti: come non pensare, con materna commozione a cosa starà passando il tuo piccolo cuore, in questi momenti?

 

«Eitan si è svegliato». «Eitan sta meglio». «Eitan torna a casa». Le notizie si rincorrono, una dietro l’altra. E chi ti ha pensato e pregato, tira un sospiro di sollievo. Come un fiore di speranza, che il Mottarone non ha inghiottito. Ha restituito qualcosa. Quel qualcosa è un qualcuno. Sei tu, Eitan. Hai un nome e un volto, un passato alle spalle, un trauma da dimenticare, un presente da vivere ed un futuro da costruire.
«Eitan non ricorda nulla, ma sa che la sua famiglia non c’è più». Con cinismo, mi viene anche da dire: “per forza”. Cinque anni è quell’età in cui non puoi nascondere più la verità ad un bambino. Lo guardi negli occhi, ha ancora quell’innocenza che perderà, inesorabilmente, ma ha anche un lampo, in ogni “perché?” che esce dalla sua bocca che ti rende chiaro che non potrai, in alcun modo, mentirgli. Grande abbastanza perché non ti si possa mentire, non abbastanza grande perché tu possa rielaborare un lutto così grande, un cambiamento così enorme in quella tua piccola vita.

Sapere che non troverai l’abbraccio del papà a proteggerti. Sapere che non ci sarà più una parola della mamma a consolarti. Sapere che non ci sarà più il tuo fratellino con cui litigare, giocare, crescere. Sapere tutto questo, ma avere anche una storia da scrivere.
È forse semplicistico dire che “bisogna andare avanti”. Bisogna? Chi lo dice che bisogna farlo?
Probabilmente, la fede, in questo, aiuta. Perché ci dà quella speranza certa che la morte non è la fine di tutto, che Cristo ha sconfitto la morte. E, con lui, i credenti in lui vedono, già ora, l’alba della Resurrezione. Questo non spiega tutto, certo, ma avvolge anche la notte più scura di una luce nuova.
Eppure, sono convinta che, ancora prima di un germoglio di fede, c’è qualcosa che abita il cuore dell’uomo e che lo spinge ad andare avanti. Forse, è la forza della vita, che si nutre anche del sorriso di Eitan, del ricordo grato della sua mamma e del suo papà, e ci fa credere e sperare che, anche da una tragedia immane, da un dolore immenso, da un senso di ingiustizia che forse ci pervade, può nascere un nuovo sorriso: ogni lacrima, un giorno, troverà il modo di essere asciugata e gli occhi si apriranno, con speranza sul futuro.

 

Piccolo Eitan, grazie per essere il fiore della speranza in questa tragedia immensa: aiutaci a ricordare, col tuo sorriso, la nostra parte migliore. Non solo perché ricordiamo i morti di questa tragedia, ma, soprattutto, perché facciamo concretamente in modo che niente di simile possa ripetersi.


Fonte immagine: Pexels

 

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