paese
Fu così che, d’improvviso, ci siamo trovati tutti in una sorta di carcere a cielo aperto: “Hai visto: sono tutti agli arresti domiciliari pubblici” mi ha detto ieri, in carcere, il nostro Carmine. Che, alla sua maniera, ha detto ciò che tutta l’Italia, in questi giorni, sta percependo: vivere con la limitazione della libertà non è poi una cosa così bella da sopportare. La libertà, per l’appunto, quella che Cicerone descrive così: «Nessuno può dire che cos’è la libertà se prima non l’ha perduta anche solo per un istante». In questi giorni le nostre abitazioni sono diventate il domicilio presso il quale scontare questa forma di arresto-domiciliare: tutti dentro, porte chiuse,  spostamenti limitatissimi, quasi negati. Le numerose infrazioni di cui l’informazione ci racconta – corredate delle più varie scusanti – mostrano quant’è difficile non poter fare tutto ciò che si vuole. Tutto ciò che il quotidiano chiede: è facile dare la libertà per scontata se nessuno ce l’ha mai tolta. E’ l’impotenza, al tempo della massima forma di potere: “Della mia vita faccio quello che voglio”. Il massimo dell’impotenza, poi, è l’impotenza di assistere un nostro parente che è sul punto di lasciarci: “Che strazio, don: mi sento persino in colpa: è morta mia madre e non ho nemmeno potuto starle vicino in queste ore. Mi sento impotente”.
La medesima impotenza che, per tutt’altre ragioni, fa di una persona libera una persona detenuta: costretta alla privazione degli affetti, impotente di fronte all’imprevedibilità della vita familiare, frustrata nel vedersi capace di fare e non poterlo fare. Il carcere, prima che essere uno spazio fisico, è una evenienza dell’esistenza: a tutti, prima o poi, capita di vedersi limitata la libertà. Il fatto strano è che la gente, quando è libera di fare ciò che vuole, sovente si comporta imitandosi a vicenda: per poi recriminarsi le occasioni perse che, fatalità, si riaffacciano alla nostra memoria quando veramente siamo costretti a fare ciò che il Governo ci chiede di fare. Sono giorni stranissimi, questi: difficili, impantanati, scompigliati. Eppure, proprio in queste giornate, stiamo vedendo un’esplosione di creatività e di fantasia: le canzoni dai balconi, le confidenze da una parte all’altra della via, il vecchio telefono di casa che squilla, la casa che torna casa smettendo di essere nascondiglio. La gente che legge (#chileggenonsiferma), che si riunisce nella lontananza (#chiciseparerà), che ricerca dei contatti (#iononsonounvirus): gli hashtag, al tempo del Coronavirus, hanno sostituito i vecchi graffiti sui muri. Mai, a memoria di questo secolo, il carcere ci è apparso così sotto-casa, dentro-casa, a portata di mano: “Mi pare di essere come i tuoi carcerati, don: è pazzesca la somiglianza tra noi e loro in questi giorni” mi ha scritto un amico prete in un messaggio. Sono gli scherzi della vita.
Le persone detenute, dunque, potrebbero essere d’aiuto nell’aiutarci a gestire questa situazione di crisi. L’intelligente, quand’è sorpreso da un’emergenza, cerca di vedere come altri, prima di lui, hanno risposto ad una simile. Per chi abita le galere, l’emergenza della carcerazione è nota: “No questo, neanche quello, nemmeno quest’altro”. “No” è la strategia che usa il Governo per arginare un pericolo: ti delimita uno spazio, da quello spazio tu non puoi uscire. E’ la fine? No! Alla strategia si può sempre rispondere con una tattica: “Non è problema: dentro quello spazio, però, decido io come vivere. Devo stare in casa? In casa mi invento come vivere-diverso”. E’ così che una cella di galera diventa, giocoforza, un laboratorio di scrittura, artigianato, cucina. Cella claustrale. Non si evade con il corpo (l’ordinanza è rispettata) ma si viaggia col pensiero: “Obbedisco: ti lascio il corpo, verrò a riprendermelo finita l’emergenza. Intanto vado a spasso con l’anima”. Ecco perchè una tattica, se è intelligente, rende vana una strategia. O, come in questi giorni, rispetta la strategia rendendola fruttuosa. Grandi strateghi, nella storia, sono stati fregati da uomini capaci di incursioni a sorpresa, di tattica. Il carcere, al tempo del virus, per chi lo desidera può essere un’occasione: nelle galere, da tempo, ci si sta allenando all’emergenza della libertà-limitata. Torna utile, oggi.

(da Il Mattino di PadovaIl Sussidiario, 15 marzo 2020)

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