Satàn l’infame, mi ha fatto i complimenti, appena l’altro giorno: “Lavoro ben fatto, mio seguace! Son proprio felice di vederti ridotto così: fidandoti di me ti sei fatto un po’ più simile a me”. Mi son fatto un autoscatto del cuore: in effetti non è poi così male a guardarlo dalla sua prospettiva. C’è lordura un po’ ovunque, con lo sporco il serpente m’ha ritoccato i lineamenti, del suo passaggio son piene le mie gote imporporate. Imbarazzate, pure imbarazzanti. Nel frattempo di questo apprezzamento, avverto d’esser pienamente parte di quella gente che, vivendo nella sporcizia, non si rende quasi più conto di quant’è sporca la sporcizia. Col mio peccato son andato ben oltre l’infrazione di semplici comandamenti: mi son messo ad abbandonare il mio Dio. Che, davanti al cancello del mio giardino, s’è messo a urlare forte: “Marco, dove sei?” La prima volta l’ha gridato a mio padre Adamo, a mia madre Eva: «Dove sei» (Gen 3,9). Il fango m’ha sporcato il cuore e drogato l’anima, ma Dio non si arrende: s’infila, come un palombaro, in questo scafandro che è la mia storia, transitando attraverso il canale dell’udito: “Marco, dove sei finito?” Lo riconosco dall’accento, mi vergogno d’esser stato denudato: è solo specchiandomi in questa domanda che intuisco il danno che mi ha spinto a fare quell’infame dI Satàn. Mi basta il boato di questa domanda (d’interesse) – “Marco, dove sei?” – per mandare dritte in malora le cose terrene che mi hanno instupidito il cuore, avvizzito l’anima. Capita sempre così, ma ci ricado puntuale come un orologio svizzero: quando diserto Dio per le cose di quaggiù, prima o poi ne provo un disgusto maledetto. E finisco per non voler più quelle cose lì.

Da bel giardino qual’era all’inizio, il mio cuore s’è ridotto ad una stalla: «Lo depose in una mangiatoia, perchè non c’era posto per loro nell’albergo». Mi son fatto così male, vedendomi così, ch’ero nervoso al solo pensiero di vedermi rifiutato per sempre dal mio Dio. Perchè quel ceffo di Lucifero ha fatto tanto, ma s’è scordato un piccolo particolare: che la vera tragedia non è il male compiuto, ma impedire a Dio, fosse anche solo per la vergogna, di aiutarmi a fare il bene. Nella prospettiva della salvezza, vivo una situazione tragica: son dannatamente in ritardo sulla tabella di marcia. Eppure da qualche parte avverto il palpito d’un annuncio: “C’è una tragedia ancora più grande dell’avermi abbandonato, figliolo: è quella di non sentire più il bisogno di cercarti un salvatore”. Ricordo cos’aveva detto quell’ultima volta che l’ho cacciato fuori dalla porta: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce, mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Cacciato fuori, è rimasto lì, appena fuori: a far avanti e indietro davanti alla porta di casa. Che, senza di lui, è diventata stalla: la mia stalla. Andarsene via? Quando mai: il peccatore d’oggi potrebbe essere il santo di domani. Anche lercio, rimango pur sempre il suo più grande desiderio: non c’è niente di cui stupirsi. Nulla di cui instupidirsi: «Andiam fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15).

L’avvenimento è impressionante: tempo d’aprire la porta della mia stalla ed eccola qui l’annunciazione: “Non ero tanto io il difficile da trovare: eri tu quello che aveva paura d’essere (ri)trovato da me!” Come dargli torto, vedendo com’è ridotta l’anima mia? C’è vergogna sul volto, odore di marcio nel mio fiatone, c’è la gogna del mondo ad accerchiarmi: è tutto un mondo, il mio mondo, da rifare dalle fondamenta. “Non temere, figliolo: fra qualche anno, a crocifiggermi, saran le brave persone. Tu dai retta a me: affittami la tua stalla, non vergognarti. Non esiste lordura capace di regger la mia bellezza”. Satàn, udendo ciò, grugnisce a mò di maiale: “Sei uno schifo – mi ripete -: non ti vergogni d’ospitare il tuo re qui dentro?” Ha ragione: faccio schifo. Ma oggi la buona novella è tutt’altra: che in questo schifo Lui non si vergogna d’inginocchiarsi per piantare la sua tenda.

(da Il Sussidiario, 25 dicembre 2022)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Vangelo di Luca 2,1-14).

4 risposte

  1. La vera tragedia non è il male compiuto, ma impedire a Dio, fosse anche solo per la vergogna, di aiutarmi a fare il bene.
    È tutta sera che penso a questa frase …
    Lui ci cerca …sempre . Non ci molla .
    E ci chiama per nome .
    Grazie Don ….Buona Vigilia

  2. Caro don Marco,
    Satàn può insinuare tutto il male possibile, ma Lei non fa schifo!
    Ieri sera zia mi ha mostrato il numero di “Credere” (ottobre 2021) in cui si parla del carcere come possibilità di redenzione.
    Satàn è sicuramente in crisi perché Lei ha la capacità di spiegare a noialtri cosa succede quando abbandoniamo il Signore, ma l’infame nulla potrà contro “il giovane ministro dell’Eterno”.
    Un forte abbraccio e cari auguri di buon Natale anche per i Suoi ragazzi!

    1. La rivista cui facevo riferimento è “Vivere”: chiedo scusa per l’errato riporto, felice di comunicare che zia me l’ha prestato.
      Buonanotte a tutti!

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