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C’erano una volta tre sorelle, unite da profondo legame. Un occhio poco attento le avrebbe potuto scambiare per gemelle, tanto si somigliavano l’un l’altra, ma invece erano proprio le reciproche differenze a renderle uniche.
La prima aveva un carattere molto incline a provare affezione verso il prossimo. Non una semplice interazione tra interessi comuni, ma una vera e propria condivisione dei sentimenti e delle emozioni di chi aveva intorno. Si chiamava Simpatia.
Anche la seconda sorella era sulla stessa lunghezza d’onda. Percepiva soprattutto la sofferenza di chi le stava dinanzi, la sentiva essa stessa, nelle proprie viscere e per questo era sempre attiva, protesa verso il prossimo, nel tentativo di alleviare il dolore altrui, poiché proseguire dritto per la propria strada, indifferente, le era impossibile. Era la Compassione.
L’ultima sorella era quella forse meno compresa dal resto del mondo, poiché spesso veniva scambiata per una delle altre due. Anche lei, infatti, possedeva quella meravigliosa capacità di comprendere lo stato d’animo, le emozioni ed il dolore altrui, ma possedeva un’immediatezza che non era eguagliabile. Quasi sempre non le era necessaria alcuna parola, ma le bastava un batter di ciglia per entrare volontariamente nei panni del prossimo. Era l’Empatia.

A Copenaghen, non molte ore fa, queste tre sorelle sono scese in campo, insieme ai giocatori di Danimarca e Finlandia.
Sono bastati pochi attimi dopo che Christian Eriksen, giocatore danese, si è accasciato al suolo, in preda ad un infarto, perché si comprendesse la gravità della situazione. Sono bastati pochi attimi perché chi era sugli spalti – o a casa, davanti alla televisione – si sentisse coinvolto nella paura dei compagni di squadra, percepisse come proprie le loro lacrime. Il dolore altrui, il terrore di assistere a qualcosa di drammaticamente improvviso ed irreversibile, è stato percepito da ogni persona in quel momento, vicina o lontana.
Più di un pallone da calcio, più di una passione comune, l’assistere alla sofferenza di quel ragazzo e di coloro che gli stavano intorno è stato un tasto che ha toccato milioni di corde, che hanno vibrato all’unisono, in un moto che ha coinvolto simpatia, compassione ed empatia. Tutte insieme, sì, in un unico abbraccio: proprio come quello in cui si sono stretti i giocatori danesi – prima – per proteggere la privacy dei soccorsi ed anche i ragazzi della Finlandia, poi, alla ripresa del gioco, una volta certi che il loro amico era salvo e cosciente.

E questo forse ci dovrebbe fare un po’ riflettere. Quante volte teniamo queste “tre sorelle” in panchina? Quante volte ne privilegiamo una, la simpatia, perché un po’ più semplice ed invece imbavagliamo la compassione e lasciamo l’empatia a casa? Quante volte facciamo come le famigerate tre scimmiette – non vedo, non sento e non parlo – e ci voltiamo dall’altra parte, evitando ogni tipo di coinvolgimento?
Il mondo che vorrei è quello in cui queste tre sorelle vengono sempre lasciate libere di entrare in campo e giocare la loro partita.  

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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