L’Uomo è partito: inizia ora il conto-alla-rovescia per arrestarlo. Quando lo faranno? Lui sa bene dove andare e il mondo intero, quando capita, si fa da parte all’incontro con un uomo che sa dove debba andare. E’ partito, forse, per prendere i lontani e farseli vicini? Macché, questo trucco da mecenati sarà la più squallida delle storpiature di coloro che, improvvisandosi salvatori-senza-addestramento, penseranno d’aver salvato il mondo per aver trascinato in chiesa tre bestemmiatori da trivio. I lontani l’Uomo di Nazareth li lascia dove sono: riavvicinarli sarebbe un gioco da dilettanti per chi, come lui, è capace di avvicinarsi piuttosto che di lasciarsi avvicinare. I lontani, dunque, li lascia lontani: porta Dio, che alla fine della fiera era suo Padre, ai lontani. Perchè non c’è sentimento più agghiacciante tra gli umani dell’amore che avvicina, che si mette alla ricerca, del Dio di Abramo-Isacco-Giacobbe, cioè del padre, del figlio e del nipote. Del dio di casa e bottega. Tocchi che appartengono ai geni e ai santi. Al tre-volte santo. A Dio.
Da Nazareth riparte. Ritorna da dov’era venuto, dalla Betlemme di sua madre Maria, anticipo e condizione dell’altra Betlemme, quella nella quale per loro non c’era posto in nessun posto. Ritorna tra i suoi, per rilanciare l’andatura: ha trent’anni, è ormai un personaggio dibattuto e conteso, potrebbe divenire la gloria di quel borgo innominato qual’è Nazareth. E’ il ritorno di un figlio che, partito bambino, torna a casa rivestito di luce. E che luce! Parola di pittore: «Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente, sedette» (liturgia della III^ domenica del tempo ordinario). Tre gesti, quasi al rallentatore, che partoriscono stupore e meraviglia, conditi da un tocco d’imbarazzante imbarazzo: «Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui». L’Uomo è di quelli che piacciono: un tocco di gloria dentro la storia di un paese fino qualche decennio prima ignorato. Nazareth non è Gerusalemme: è periferia, lembo estremo, margine della geografia, bordo. Il primo annuncio dei trent’anni di privatezza è stato fatto là, di primo mattino, ad una giovane: «Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). Il primo annuncio dei tre anni di funesta notorietà ritorna ad essere fatto ancora là, al cuore di un annuncio che si muterà in storia: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Anche lui profeta, dunque: “ben più di un profeta” s’affretterà a precisare di lì a poco. Un profeta al cui cospetto tutti gli altri profeti Gli stanno facendo luce: più servi che schiavi, velli di tessuto più che zerbini d’appartamento, ali d’angeli non bastoni tra le ruote. Loro, tutti assieme, per Lui; Lui, con tutti loro, a far esplodere la promessa definitiva.
Lasciate perdere la morale: qui non v’è traccia alcuna del minimo accenno di quel moralismo che, nei secoli a venire, in tanti agganceranno alla freschezza di questo primo annuncio fatto dai suoi, quelli «che non l’hanno accolto». Niente moralismo, tanto meno un’indifferenziata amnistia. Nè l’uno, né l’altro, solo il meglio: Dio sta dalla parte dell’uomo, di quello reietto e sbrindellato, accattone e sdentato, ignobile e massacrato. Slabbrato, sfigurato, crocifisso. Dalla parte dei crocifissi, ora et semper. Mai contro l’uomo, sempre in suo favore: non è compiacimento, ma fervore d’amante e d’amato. La passione dell’amore che fa scaturire la gioia cristiana: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». A Nazareth, quella mattina, l’Uomo dei miracoli mise in scena il più bello tra i miracoli possibili, quello che genererà tutti gli altri miracoli: l’uomo che, caduto per terra, dopo lungo tempo si rialza e torna a respirare. A sorridere: ai poveri l’annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, agli oppressi la libertà. Ai peccatori la grazia, il soprannome evangelico dell’umana bellezza. Peccato solo che, poco dopo, debba scappare a gambe levate dal suo paese: la Grazia, rifiutata, è devastazione. «Ti abbandono, Signore. Tu, non abbandonarmi» (E. Carrere, Il Regno)