Una donna è sotto gli occhi di tutti: così bella d’essersi sottratta più volte ai pretendenti innamorati, così fedele d’essere stata sottoposta a terribili torture. Il giudice delle indagini minacciò di darla in pasto alla gente-belva se lei non fosse ritornata sui suoi passi. Stette in piedi, resistette: fu condannata a morte. Toccò ad un soldato, Basilide, accompagnarla al patibolo: nel percorso la difese dagli insulti della plebaglia grossolana, la protesse allontanando gli idioti. Lei glielo promise: “Mi ricorderò di te, buon-uomo!” Cosparsa di pece dalla testa ai piedi, la incendiarono. Passarono pochissimi giorni e anche Basilide scelse da quale parte stare: professò dinnanzi al giudice d’esser diventato cristiano. Sbattuto in prigione, ricevette il battesimo: il giorno successivo fu decapitato. Potamiena, questo il nome della donna, gli era apparsa in sogno: “Ti prego, guarda di non mollare: sto combattendo io per te!” Le promesse, se son tali, vanno mantenute.
Basilide, oggi, è santo-patrono: è l’angelo custode degli agenti di custodia, il corpo della Polizia Penitenziaria. L’altro giorno, in una delle chiese più belle di Padova, han fatto festa a san Basilide: basco in testa, divisa addosso, l’orgoglio d’esser tali. La loro terra-promessa son le patrie galere: gli scantinati della città, i bassifondi dimenticati, il parcheggio statale senza più illuminazione. In servizio stazionano come sentinelle nel campo di battaglia: «Despondere spem munus nostrum» (“Garantire la speranza è la nostra missione”) recita il loro motto. E’ la loro identità, quella che pochi conoscono. Più che di oreficeria son tutti gente di miniera questi uomini e donne: a tutti piace l’eleganza dell’oro lavorato, ma se il minatore non scende sotto-terra a recuperare la pepita, nessun orefice potrà lavorare la materia dorata. Così è di loro, la cui delicata missione a pochissimi è conosciuta. Perchè, al tempo della pubblicità, altri si attribuiranno i meriti di una rieducazione riuscita, o per lo meno tentata: senza loro, però, nessuna azione è mai possibile dentro il bailamme confuso d’una galera sovrafollata. Di confusione.
In servizio è tutta gente dalla scorza dura, il sorriso misurato, il piglio di chi sta sull’attenti: garantire la sicurezza è il loro lavoro. Tolta la divisa, però, è tutta gente simile a me: impastati di gloria e miseria, di verità e titubanze, di sogni e paure. Durante la messa li ho sentiti pronunciare parole inaspettate: «O Vergine Maria, Madre di Dio ispiraci sentimenti di misericordia verso coloro che soffrono la detenzione – è “Preghiera a san Basilide” – in modo che siano in noi conciliati la necessità del dovere e il sentimento fraterno». Il dovere e il sentimento: mica è cosa da poco per chi, nel quotidiano trabattare, staziona tra il bene e il male, il senno e la follia, speranza e disperazione. Gente di pace, in stagioni di guerra.
Chiudono i cancelli a chiave, accompagnano i detenuti di galera in galera, tengono in ordine lo sgabuzzino della città ch’è la galera. Li guardo all’opera, mi torna alla mente Esopo: «E’ facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza».
(da Il Mattino di Padova, 7 luglio 2019)
(La fotografia è stata scattata Franco di Corato)