E’ stato considerato, forse a ragione, il patriarca della cronaca-nera degli anni Novanta: nel suo curriculum vanta pur sempre diciassette omicidi per caso, come recita il titolo del libro che la giornalista Ilaria Cavo ha scritto per narrare le gesta efferate di Donato Bilancia. Dal 6 maggio 1998 ad oggi sono trascorsi quasi quattro lustri di galera: non sono bastati per alleggerire la pesantezza di un cognome attorno al quale rimane incastonata la memoria incandescente delle gesta compiute. Di una pena ancora lungi dall’essere estinta: 13 ergastoli, con l’aggiunta di 16 anni di galera. Nei giorni scorsi Studio Aperto e il Corriere della Sera l’hanno timesso al centro della cronaca: nessun omicidio, stavolta. Di tutt’altra faccenda s’è reso, suo malgrado, protagonista: dopo cinque anni di scuola superiore, l’alunno Bilancia Donato (nato a Potenza nel 1951) ha conseguito la maturità in ragioneria, con il punteggio di 83/100. La maturità di Bilancia: un quasi-ossimoro per chi mai accetterà di spendere un così nobile aggettivo per poi accasarlo ad una così ignobile storia.
La notizia, dunque, è ghiotta da raccontarsi. Sopratutto all’ora di pranzo: più per rivangare il passato che per gioire del presente, consapevoli di lasciare lo spettatore con il boccone in gola: “Non è ancora morto, quell’assassino?” Non è affatto morto il vecchio serial-killer: è ancora vivente, è assai vegeto per l’età che porta sulla groppa, la commissione docente ha scritto che s’è addirittura fatto maturo. Fosse stato affidata la decifrazione del caso-Bilancia ad Agata Christie, probabilmente avrebbe riconfermato la sua convinzione: «Lo studio dei caratteri m’interessa enormemente. Non ci si può occupare del crimine senza tener conto della psicologia. Non è tanto il delitto in se stesso che m’interessa, quanto ciò che si nasconde dietro. Mi segue, Hastings?». Chi scrive s’intrattiene spessissimo, in cella, con il soggetto in questione: il piglio accigliato, lo sguardo arcigno, mani che ancor oggi premono come boa. Il tempo-perso con lui, non è per nulla tempo-perduto: ad interessare, dopo vent’anni con un passaporto di ferro-e-cemento, è «ciò che si nasconde dietro». La notizia da raccontare, dunque, era di tutt’altra fattezza: non tanto che l’alunno che corrisponde al nome di Bilancia Donato s’è diplomato ragioniere, bensì che sulla sua persona più di qualcuno, da anni oramai, ha deciso di scommetterci tempo, passione – con una buona dose di follia, c’è da giurarci – e che lui, vecchio ribelle in rotta col mondo, ha accettato di lasciarsi amare così com’era, slabbrato. Rotto, pure permaloso: «C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono». Parole di Danilo Dolci, poeta siciliano. Con un sovrappiù: «Ciascuno cresce solo se sognato». Il vecchio Bilancia, sognando da solo, si è intricato l’esistenza, complicandola ad altri. Lasciandosi sognare, s’è scoperto capace di maturità. E’ l’assurdo di ogni risurrezione.
La scuola, dentro mura di galera, è anche questo: tentare l’impossibile a colpi di possibilità, ammansire il lupo convincendo la città che il lupo non fa più paura. Se aveva ragione Joseph Conrad – «Il vero significato del crimine risiede nel suo essere un’infrazione alla fiducia della comunità del genere umano» – allora la maturità di un galeotto potrebbe segnare l’inizio di una restituzione alla collettività. Del passato ognuno rimane responsabile; il futuro, poggiati sul passato, è un tempo tutto da organizzare. Il presente è il tempo in cui tutto ciò può accadere: andare avanti, guardando indietro. La buona-scuola, in carcere, c’è già: qui si sboccia, non si boccia. Ne è prova il ragionier-Bilancia: andando a scuola, capita anche d’imparare a fare i conti con se stessi. A diventare maturi.
(da Il Sussidiario, 16 luglio 2016)