BinariSole

L’ultima volta è stato nel discorso al Congresso Americano: delle altre, i cultori hanno perduto il conteggio. Dove affondi le radici l’inesausta fermezza di papa Francesco nel riportare continuamente al centro la figura del carcerato, non è dato sapere: non è nemmeno ciò che interessa a chi va al cuore del pensiero. Il succo della questione è altro: piaccia o non piaccia, l’uomo che sbaglia è ormai una delle pietre miliari che il Papa ha posto come fondamento della sua chiesa di periferia. Per papa Bergoglio, il cristiano non è un ghepardo capace di velocità folli, nemmeno una tartaruga impedita in fatto di velocità. Il cristiano è semplicemente l’uomo che c’è: quando Cristo chiede un passaggio, quando un povero intralcia il traffico, quando una domanda da urgente diventa provocatoria. Cristo è simpatia o antipatia a pelle: quando tocchi la carne sofferente, capisci da che parte stare per non perderti l’appuntamento con Lui.

Tanti sognano la chiesa di Francesco (che è poi la Chiesa di Cristo, ndr); qualcuno di questi, invece, sta sveglio per aiutarla a nascere. La parrocchia di don Leopoldo giace nella terra del graticolato romano, quello con sole due direzioni: cardo e decumano. Anche per andare Lassù ci sono solo due strade: la Terra e il Cielo, non c’è una terza direzione. Un prete-manovale, con i piedi ben piantati a terra e lo sguardo oltre le stelle: c’è una comunità da guidare e, per chi sa cos’è la salvezza, guidarla non è un passatempo che rilassa i nervi. Assieme alla sua comunità, questo parroco ha aperto la porta ad uno dei poveri più canaglie: un detenuto, con una catasta di anni fatti e altrettanti ancora da fare. Quest’uomo è ad un passo dalla fine: la sua cartella clinica è da leggersi tutta in apnea, col naso chiuso, per non capottarsi del terrore. Mezzo morto, la galera l’ha messo su una strada, raccomandandogli di tornare il prima possibile: “Vatti a curare e torna: ti aspettiamo”. Spaventato dall’abbandono dopo anni di detenzione, ad accoglierlo la sera stessa trova una comunità capace dell’amore più folle e bambino, quello che non usa la calcolatrice. Lui la sua storia la conosce a menadito, loro no: è per questo che non riesce a darsi pace del fatto che proprio a lui, vecchio bandito nottambulo, il Cielo abbia riservato una protezione quasi materna. Sprazzi d’amore su pagine di cronaca turbolenta.
Dopo appena qualche settimana, la canonica di don Leopoldo è come la fontana di un villaggio. In tanti vanno a fare dei gesti d’amore, per poi tornarsene con una brocca di speranza addosso: nulla andrà mai perduto. Nessuno di loro immagina che quest’iradiddìo di attenzioni sia la vera prigionia per quell’uomo: vedersi amato dopo aver fatto di tutto per farsi rincorrere e odiare. La carezza di Francesco ai vecchi lupi di galera è tutta qui: non il buonismo di chi svende le responsabilità, ma la passione di chi, per recuperare il perduto senza offendere le vittime, ama ricomporlo proprio dentro la società. Alla luce: perchè una comunità possa gustarsi cosa accade quando il Vangelo tocca seriamente la vita. E, sopratutto, perchè il vecchio lupo possa rendersi conto che, al cospetto dell’amore vero, il miglior agguato che gli sia mai riuscito sembra davvero poca cosa, la prova di un dilettante alle prime armi.
Non basta lasciare scorrere gli anni di galera per dire d’aver scontato la giusta pena. Farsi la galera è molto di più: è tenerti davanti la faccia di chi hai tradito, rimetterti a posto la faccia senza scappare al buio, medicarti le ferite lasciando che la gente ti guardi. Questa è la galera che educa l’uomo. L’altra, quella che tanto piace a tanti, è un’ingiustizia per le vittime: è una pena che sconta l’uomo. Gli fa uno sconto immeritato: lo tiene nascosto per un po’, finché la sua storia va in archivio. Educare è rifiutare che la pena sconti l’uomo.

(da Il Mattino di Padova, 27 settembre 2015)

 

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