E’ il santo dei giovani per antonomasia, Giovanni Bosco da Castelnuovo d’Asti (1815-1888): forse per questa ragione in tantissime parrocchie questa è la “Settimana dell’Oratorio”, occasione per celebrare la memoria e l’intuizione di un uomo che ha ascoltato il grido del mondo intuendo che i giovani sono la promessa – forse ancor prima la premessa – di Dio per la storia dell’uomo. Un santo, dunque, che i giovani non li ha tenuti semplicemente come sogno ma ha rischiato assieme con loro facendoli diventare un segno di speranza per la storia. Promessa e premessa, segno e sogno, sapore e sapere: piàù che semplici sfumature di un cristianesimo che fosse prima di tutto un fattore umanizzante l’umano: per non correre il rischio di farlo degradare ad un semplice compendio di morale. Una cosa noiosissima solo ad immaginarsi.
Un santo che oggi giace statuario nella sfida dell’educazione. Eppure la sua storia, apparentemente, fu una tipica avventura di periferia, di sobborgo, di quartieri malfamati. Partono sempre così le storie d’amore del Cielo: da un grido ascoltato, da una mano tesa, da una prospettiva allargata. In fin dei conti che cos’altro dovrebbe fare un educatore o un maestro se non ricordare alle persone la loro capacità d’infinito? E’ successo così sulle rive del mare di Tiberiade con Gesù di Nazareth; s’è ripetuta la medesima storia nei sobborghi di Torino con Giovanni Bosco; la storia è continuata nella disperazione di Calcutta con Madre Teresa. I capolavori dell’educazione spartono la medesima origine e lo stesso destino: apparentemente perdenti, platealmente snobbati, storicamente decisivi. Perchè se nasci in un quartiere di periferia, non puoi sapere quanto grande è il mondo: tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si sieda accanto a noi per aprirci gli orizzonti, per allargare le nostre prospettive, per dirci che ce la possiamo fare nella vita trafficando i talenti che abbiamo; per farci assaporare quello spazio d’infinito che è a portata e a disposizione di tutti. Ovunque, in ogni tempo, sotto qualsiasi cielo. Anche dentro le galere – apparentemente i luoghi in cui l’educazione ha fallito – c’è bisogno urgente di qualcuno che ti racconti che la cella non è il mondo, che ti aiuti a non confondere l’abat-jour con la luce del sole, che ti ricordi che la tua faccia è l’unica storia che un giorno potrai raccontare. Dietro ogni santo c’è nascosto un uomo; forse per questo di certuni ci s’innamora ancor di più: perchè uomini del mondo come tutti noi, ma con risposte sorprendenti. D’altronde non è dal modo con cui un uomo o una donna ti parlano di Dio, ma dal modo con il quale ti parlano delle realtà del mondo che tu hai la possibilità di percepire se queste storie si sono lasciate bruciare dalla passione di Cristo. Dalla grande Bellezza.
Dei giovani don Bosco ne fece la sua Croce e la sua Risurrezione: insegnando loro un mestiere, aprendo loro lo sguardo su spazi inimmaginabili, rendendoli protagonisti attivi della loro storia. Fu un educatore che seppe coniugare i verbi al modo giusto: non usò il congiuntivo delle esortazioni, non s’avvalse del condizionale delle possibilità e nemmeno tentò l’imperativo dei comandi. Usò amabilmente verbi al modo indicativo, quasi sempre coniugati al tempo presente: il tempo della storia, della vita, dell’oggi. Ai suoi ragazzi di periferia disse semplicemente “voi siete”: non “sarete, sareste, siate”. Insegnò loro che dentro ogni errore potrebbe nascondersi una nuova storia, che dietro un fallimento c’è forse un’altra possibilità, che nessun ragazzo è mai perduto se c’è un educatore che crede in lui. Magari scommettendo con il rischio folle dell’amore. Forse per questo don Bosco è il santo dei giovani: per quella sua spassionata arditezza di considerarli il presente della storia. Non il futuro.
(da Il Mattino di Padova, 2 febbraio 2014)